Gli àpoti

 

Gli àpoti

Il 28 settembre del ‘22, Giuseppe Prezzolini scriveva in una missiva indirizzata a Piero Gobetti:”E quanti dei capi hanno per aperto programma la schiavitù dello spirito come rimedio agli stanchi, come rifugio ai disperati, come sanatutto! ai politici come calmante agli esasperati. Noi potremmo chiamarci la Congregazione degli Apoti, di “coloro che non le bevono” tanto non solo l’abitudine ma la generale volontà di berle, è evidente e manifesta ovunque”. La schiavitù dello spirito sta nel pensiero convergente com’a dire nel non pensiero prendendo a prestito quello del laboratorio mainstream, oro potabile dei furbi alchimisti digitali, unico, autentico spirito del mondo. Ecco quel conio dell’intellettuale perugino, α privativo del significato del verbo πìνω (bere), voleva ribadire la posizione di chi, fedele al libero pensiero, non si beveva proclami, scazzi, parole d’ordine scagliate dai partiti sulle barricate anni ‘20, se ne tirava fuori, ma da lì a un mese esatto ci sarà la marcia su Roma, Prezzolini sbarcherà negli U.S.A. pochi mesi più tardi, Piero invece affronterà la sua battaglia con La Rivoluzione liberale accettando il duro scontro.

Non vogliamo bere al fontanile dell’ovile, dissetarci negli stagni ascoltando il verso di mille ranocchie opinioniste da jukebox, gracidano a gettone nei salotti-ninfee, cra, craa, craaa, alzando i toni a ragione d’audience pungolati da virago e stoccafissi, a tutti costoro affiliati alla cupola della disinformazione un deciso e acordiale vfc. Ma noi, pochi invero, non voleremo negli States o a Parigi, resteremo a batterci qui, come Piero, pur divergenti dai suoi ideali liberali, con questo nostro settimanale, testimonianza di cocciuta fede, di stile di una comunità pensante in proprio.

Dragon Ball Super, meschino, ha mollato, “l’uomo della provvidenza”, il salvator Italiae, uscito a passo felpato dall’armadio Quirinale, ha presentato le proprie dimissioni irrevocabili (?), la grande ammucchiata ha fatto Pfff, i pentastellati duri e puri son tornati a frinire, colpo di coda a fini elettorali usando la buccia di banana del termo valorizzatore a Roma, ridicolo! No, non ce la beviamo. Fulmini e saette sul M5S, torrenti d’ argomentazioni esondano su network e talkshow, minimi gli spiragli per ricompattare la ciurma lasciando al suo posto Nelson, cupe le previsioni, andare a elezioni anticipate è un’Apocalisse sciorinando Pnrr, pandemia, inflazione, guerra, carestia di carburanti, ecc. tacendo sul brivido freddo di non essere rieletti. Anche questa non ce la beviamo, il modello Ursula teme i sovranisti in parallelo a sleepyJo, né ingurgitiamo la pozione miracolosa da decenni prodotta a destra, a ogni crisi la cura è: elezioni, ma restando sclerotizzato il sistema non esiste governo sicuro per la rotta per il Paese.

La verità è diversa della narrazione a caldo di politici e cocottes mediatiche, la democrazia italiana, così strutturata dai suoi padri fondatori, non funziona, solo dal 2011 a oggi si sono succeduti 7 governi evidenziando una precarietà istituzionale cronica con l’aggravante di Presidenti del Consiglio (Monti, Renzi, Conte (one and two), Draghi) non espressione della volontà elettorale ma pescati direttamente da Presidenti della Repubblica abili prestigiatori di una loro prerogativa costituzionale. Di fatto si è escluso che tra i parlamentari ci fosse una figura “alta” in grado di cavalcare un governo, un’autentica delegittimazione degli eletti avviatasi nel ‘93 con Ciampi, a seguire Dini (‘95), Amato (2000) poi ponte fino a “super Mario” Monti, divenuta oramai prassi di sprezzo verso il Parlamento. A questo si è affiancato l’escamotage del ricorso continuo dei governi ai decreti legge sottoposti a ghigliottina di fiducia evitando il confronto parlamentare, falciando a grappoli gli emendamenti per arrivare in fretta e furia al sì, un abuso diventato routine giustificato dal rosso fisso dell’urgenza. Domanda: ma il Parlamento ha ancora una funzione? Nei fatti è stato esautorato, parafrasando la battuta sul Tevere di Carlo Verdone nel comizio folle, gli italiani si chiedono: “Ma sto Parlamento ce serve o nun ce serve? Perché se ce serve vogliamo che funzioni ma se funziona male nun ce serve e allora nun annamo a votà” E’ plastico che la volontà popolare ha perso la sua sovranità, quasi un fastidio anacronistico votare, un diritto-dovere che oltre il 45% degli italiani non esercita più. Il filo popolo-istituzioni è stato volutamente spezzato dalla casta inutile per continuare nella sua dorata inutilità autoreferenziale forte della mancanza di un quorum capestro a rendere valide le elezioni.

E’ manifesta l’urgenza, non più procrastinabile, di una riforma strutturale del governo del Paese rendendolo stabile, efficace, rapido nei tempi in sinapsi con una società complessa che corre assai veloce. Il Presidente del Consiglio, ad es., deve essere il candidato premier della coalizione vincente, portare in tasca il suffragio popolare, l’unico che giustifica e da forza, in una democrazia, al suo mandato istituzionale, mai più Presidenti “tecnici” pescati dal cilindro senza un voto nel taschino. Per assurdo oggi assistiamo a un non eletto che ha prodotto le dimissioni di un altro non eletto, colpendo la Nazione col mare già in tempesta. Le cause delle falle stanno nella chiglia della nave, ruzza e corrosa, ridurre la babele di passeggeri-equipaggio a stantia guerriglia dialettica è offrire acqua marcia in bottiglia, imbevibile per noi anticipando o meno le elezioni, è il sistema ch’è avariato, occorre alta ingegneria politica e sociale ma l’impressione è che rane e ranocchi ci vivano benissimo in palude.

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