Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? titola in un angolo il più grande dipinto di Paul Gauguin datato 1897, testamento esistenziale d‘ un maldestro aspirante suicida, steso febbrilmente laggiù in Polinesia presso il notaio Natura. I quesiti del pittore ribelle paiono quelli del punto che gira folle sulla circonferenza alla ricerca d’ un centro di gravità permanente, domande banal-comuni sull’essenza misteriosa della vita, mentre si corre sulla giostra eterna da servi sciocchi e inutili, volando a girotondo, spinti dalla vanità d’ artigliare il seggiolino della Storia per lasciarvi un’impronta di fama foscoliana.
Così gli ’interrogativi di Gauguin possiamo trasferirli negli affluenti umani dell’unico grande fiume Denaro, la cui corrente trascina i nostri io piccini chissà dove e perché, ci viene voglia d’ aggrapparci a una riva, uscire dal coro, ritirarci nel bosco o lasciarci vivere su uno scoglio da eremiti perché nel vorticoso scorrere risuonano quelle domande non trovando risposte.
Serve ancora chiederci significati sull’essere? Bucato il sacco della Tradizione si è scoperto che ormai è vuoto, il cambiamento è radicale, occorre flessibilità di adeguamento nell’era del camaleonte, godere con orgasmo dell’aggiornamento per non diventare merce di scarto.
Chi farfuglia di valori dello spirito ci appare un mentitore che sa di mentire, vuole dissuaderci dall’essere eretici pensanti sul greto della sponda, tuffatevi! il fiume è bello, dorato, basta saper nuotare con coraggio, seguire la corrente, afferrare con le unghie quel quarto d’ora di notorietà profetizzato da Andy Warhol, scansando gorghi e pirañas e mal che vada vivremo tranquilli in gruppo con gli altri pesci buonisti, muti nel branco dei politicamente corretti.
Se provassimo a porci, noi italiani, quelle domande del personaggio di Balzac, oggi risponderemmo qualunquemente: boh! La carta d’identità non si trova, dove l’abbiamo messa? Dolosamente cestinata, a guardar bene veniamo da una regione, una pezza del costume d’Arlecchino, col suo colore, dialetto, le leccornie enogastronomiche da mettere a concorso, gioielli d’arte d’altri tempi da vetrina per i tour di A. Angela. La nostra appartenenza è lì, nella nicchia ecologica, giacché la Patria non c’è più, dicono ci sia stata un tempo ma era un biscotto savoiardo intinto nel Risorgimento borghese, un ideale tinto di nero morto nel’45 dopo un’ecatombe, ma sì meglio i briganti antesignani della resistenza contro il potere piemontese, meglio sottomessi agli anfibi americani, etico indossare i panni dei partigiani in perenne vedetta contro gli orchi.
La Patria è demagogia da stadio, le frecce tricolori, il giorno della bandiera, per tutto il resto siamo aspiranti cittadini del mondo interconnessi, lasciamo il paesello a vecchi e cani rifacendoci un’identità altrove pe continuare a coltivare l’orto dei sogni. Restano gli Anchise malandati, Enea non se li metterà sulle spalle, hanno la pensione, e allora che Troia bruci coi suoi vegliardi, si estingua pure la memoria d’ una casa comune diventata lontana leggenda di nonni e monumenti.
Dove andiamo? Beh dove ci dicono di andare dal palazzo Europa di Bruxelles da dove i muezzin della finanza ci chiamano a inginocchiarci per la preghiera di supplica lasciando monete sonanti per l’assoluzione. Siam peccatori fragili, perennemente in rosso, senza fido, bisogna strizzare il limone con la piovra delle tasse finché il Paese non sia nudo e chi meglio della sinistra comunista può interpretare il ruolo dello sceriffo esattore rispolverando il vecchio assunto: ”la proprietà è un furto”.
E’ su questa Europa coi suoi lacchè che si gioca la partita, pro o contro, senza i bizantinismi furbi di chi afferma sì, sì all’UE…però l’Italia deve pesare di più, avere maggiore autonomia, il che si risolve i due-tre decimali di sforamento del rapporto deficit/PIL e comunque abbassando sempre le orecchie come i cani o scodinzolando contenti speranzosi di cogliere al volo il contentino.
Per darci una risposta alle domande inquietanti d’apertura, il bit è semplice UE si o UE no punto e basta, anche se tutti noi no cantava la Compagnia dell’Anello, senza ascoltare le cassandre prezzolate sui flagelli di un’uscita; tutto il resto sono scappatoie da don Abbondio, vassalli o valvassini è una sfumatura e magari si potrebbe meditare per prender coraggio e idee riascoltando quanto affermava B. Craxi sull’Europa da costruire (mai realizzata), sull’euro, sulla politica italiana nel Mediterraneo, sulla sovranità nazionale, i flussi migratori ecc. pensieri forti sepolti ad Hammamet.
Kig Artur ha sfilato la spada nella roccia tagliando i ponti con quest’Europa di usurai, ricordandosi e ricordandoci proprio donde vengono, chi sono e quale viaggio vogliono intraprendere. L’orgoglio nazionale ha vinto, God save the Queen cantavano festosi i testardi inglesi, solo i romani piegarono quel popolo di fieri combattenti, non dimenticando però che anche loro si fermarono al vallo d’Adriano.
Davvero pensavamo che l’invitta Inghilterra si facesse cenerentola delle mire egemoniche della Germania e dei giacobini? Utopie di rivalsa di chi ha perso due guerre o ha preso sganassoni sedendosi oplà al tavolo dei vincitori.
Checché ne pensi Frau Ursula von der Leyen, presidente teutonico della Commissione europea, dalle ore 23 (h inglese) del 31 gennaio l’UE è più sola, ancor più fragile (-13 miliardi di euro) e i pescatori della Gallia hanno finito di gettare reti nel mare della GB.