L’Antifaschistischer Schutzwall (la barriera antifascista) di Berlino fu aggredita, scalata, scavalcata la sera del 9 novembre 1989, si sgretolava il simbolo più infame della guerra fredda, una biscia costruttivista lunga 156 Km in calcestruzzo, alta 3,60 m, datata 1961, muro schizzato dal sangue di tanti confinati nella DDR in cerca di fuga dalla “democrazia” di Pancow. Le Repubbliche socialiste si sgretolarono per implosione, senza cariche esplosive, venivan giù l’un dopo l’altra, castelli di carta del socialismo reale, giù anche la grande matrioska di tutte le sorelle o quasi, l’U.R.S.S. Ciascuna neonata vagiva forte rivendicando autodeterminazione, libertà, confini storici per Paesi soffocati dal calcagno sovietico o slavista (Jugoslavia), ossigeno al nazionalismo patrio, oggi la spocchia intellettuale lo marchierebbe di sovranismo.
Da quel Novembre ”il muro della vergogna” fu sbocconcellato, frantumato a martellate, divenne gadget di mercato (anch’io ne conservo una scheggia) al pari di stelle rosse, medaglie, bustini di Stalin, la prospettiva verso la porta di Brandeburgo portava tutte le linee al punto di fuga della riunificazione delle due Germanie, wiedervereinigtes Deutschland il 9 Ottobre del ‘90, Ein Körper, ein Geist (un solo corpo, un solo spirito), Deutschland über alles nel breve per tutta l’Europa meno l’ orgogliosa Albione.
Anche l’Italia con le ossa rotte, amputata di territori conquistati con l’epos del sangue, uscì dalla sala operatoria parigina del ‘47 da moncherina, via Istria, Fiume, Dalmazia, isole del Dodecaneso, Corfù, paesi delle Alpi Marittime più strike di tutte le colonie in terra d’Africa. Il maresciallo Tito appoggiato, omaggiato dal P.C.I. voleva inghiottirsi Trieste, deglutirsi la Venezia Giulia, ma il nastro di frontiera, come a Berlino, alla fine fu tirato lungo Gorizia, una brutalità beota, dividendo la città in est e ovest, che fantasia! Un muro, anzi un muretto, con base in calcestruzzo più ringhiera, in tutto circa 2 m d’altezza tagliava Piazza della Transalpina, di là nasceva l’eden socialista, Nova Gorica, dove la rana rossa gonfiava muscoli e petto per sfida, forse emulando la favola di Fedro.
Il 22 novembre 1989 un agguerrito manipolo di missini, guidato da G. Fini, si radunò a Gorizia, la missione di deputati, quadri e attivisti era picconare, non metaforicamente, quel muro, infrangere il Trattato di Parigi, lanciare un segnale di rivendicazione delle terre irredente, si pronunciò così il Segretario “ il nostro Paese è stato privato di terre che sono italianissime […] Credo che l’Europa debba cogliere l’occasione storica della crisi del comunismo per ridiscutere gli accordi di Helsinki e di Yalta. Alla Camera il Msi ha chiesto al governo italiano un impegno internazionale per ridisegnare i confini orientali”. Il risultato dell’azione di denuncia-assalto al manufatto della divisione furono gragnole di manganellate da parte di carabinieri e polizia della II Celere, le adulate Forze dell’Ordine, lo Stato italiano si schierava pro Jugoslavia, un solo tricolore saltò quel muro, cadde deluso quel vessillo ribelle, quasi un remake della stampella d’Enrico Toti.
Lapalissiano che l’insalata russa del Governo Andreotti VI abbia seppellito subito qualsivoglia rivendicazione territoriale, nelle corde di DC & C c’era solo il potere interno e il baciamano all’esterno, il secondo serviva assai al primo, perciò l’arco costituzionale ritirò la testa nel guscio restando fermo ai trattati capestro.
Quella manifestazione dell’autunno ’89 d’una brigata di romantici post Risorgimento e Irredentismo, fu l’ultimo atto coraggioso di rivendicazione delle nostre terre sul fronte orientale, rompere quel muro (anche di complice silenzio) avrebbe costituito, anche per noi, una prospettiva di riunificazione di Istria, Fiume, Dalmazia alla madre Patria ma il problema era il vuoto di maternità.
Di lì a due anni la RSF Jugoslava sarebbe esplosa, le doghe che fasciavano la botte, rotti i cerchi, si sarebbero aperte col feroce fracasso d’una guerra civile, la diplomazia italiana avrebbe potuto, dovuto, tessere una tela sottile per riconquistare almeno porzioni dei territori sottratti garantendo la neutralità del ragno, così non fu logicamente, amen.
Nel 2004, 15 anni dopo Berlino (!), anche il nostro muro della vergogna veniva smantellato, ma Gorizia non tornava tutta italiana, la Nova Gorica slovena restava intatta con dietro la mappa degli orrori delle foibe, le gole profonde, inghiottitoi di nostri connazionali, le miniere cimitero, ma il punto non è la memoria esaustiva d’una tragedia celebrata nel giorno del ricordo, una ricorrenza ciclica, no! Il punto è l’italianità storica di quei territori sul confine orientale, l’òmero dell’Italia. Una madre che non si dia mai per vinta se non riporta a casa tutti i propri figli è il senso di queste righe.