Driiiiiiiiiin, onomatopea dell’ultima campanella e via di corsa, via! Sciamano dagli alveari polverosi delle scuole gli studenti esultanti al trillo liberatorio, perché no libertario di schiume, gavettoni e birra. E’ finito l’anno scolastico prova scientifica del nicciano eterno ritorno, l’uguale si ripete in un tempo infinito, lezioni, compiti, interrogazioni, frusciar di chiacchiere e fogli, stridio del gesso, LIM multimediali, pigolii molesti alle verifiche con quel tedioso: “posso andare al bagno?” Adesso i banchi truciolati son vuoti, di nuovo allineati come soldatini, grattate via le gomme, cancellati disegni, scritte d’amore, tags, i pavimenti lavati e stirati, le cattedre centrate sulle predelle, armadietti chiusi al pari di finestre e porte. Le aule paiono sacre pievi composte, in penombra, nell’attesa silente di nuovi e vecchi fedeli attenti (si fa per dire) alla liturgia di sacerdoti (pochi) e di sacerdotesse del sapere, c’è odore di varechina non d’ incensi o ceri e in quel silenzio delle cose avverti una sospensione metafisica d’attesa. La stessa delle bacheche lungo i corridoi o nei cortili di cicche dove i bidelli affiggeranno i quadri: ammesso, sospeso, non ammesso, che magone! Occhio di lince a scorrere il cognome poi un bacio, un buffetto o una sberla sul cuore. Il 19 partirà il rito degli esami, tatuaggio impresso per una vita intera così da scriverci una melodia sopra, il capolavoro di Venditti, poi ci si perderà nel labirinto universitario, lasciando nell’armadio gli abiti belli dell’adolescenza.
Beh i nove mesi testé trascorsi hanno partorito il niente, il “contratto” carioca gialloverde lasciava a scuola & cultura briciole di pane azzimo comprese le promesse d’ una dignità salariale alle vestali delle tre “c” conoscenze, capacità, competenze. Le risorse strategiche erano convogliate ad altro: quota 100, reddito di cittadinanza, scelte coraggiose sì, ma non investimenti sul futuro delle nuove generazioni. Di questo a.s. resterà la cronaca di docenti insultati, minacciati o sospesi come la prof. di Palermo, un flash mob trash sui 200 anni de L’infinito leopardiano, tutto qui ci pare, il resto è tutta fatica che non si vede, non solletica il gossip della banalità mediatica, un docente che sgarra seppellisce il lavoro di mille altri, perché solo il male fa audience.
Dalla Legge Casati (1859) alla legge 107/2015, la “cattiva” scuola di M. Renzi, è un segmento temporale dove c’è tutta l’Italia coi propri valori, molto alti, gli obiettivi ma anche i compromessi e le contraddizioni. I maestri e le maestre missionari arrampicatisi fin nei piccoli comuni o scesi nei villaggi di capanne per insegnare a leggere, scrivere e far di conto, hanno costruito la Patria quanto gli eserciti piemontesi o le camice rosse di Garibaldi. Nel 1861 gli analfabeti erano il 75% della popolazione, nel 1911 il 37% e su quei sillabari s’imparavano anche il senso civico, l’amor patrio, i valori comuni della Tradizione. A quegli eroi muti, un tempo élite della comunità col parroco, il sindaco e il farmacista, nessuno ha dedicato un monumento o liriche d’autore (eccetto il solito Rodari) ma un film, uno solo, ne traccia un ritratto autentico a tinte surreali La Scuola di Daniele Luchetti dedicato proprio al suo papà insegnante.
Sepolta da riforme, decreti, migliaia di circolari, la scuola italiana ancora attende invano il treno di una rivoluzione imbavagliata dai compromessi dell’art. 33 della carta costituzionale che dice: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e grandi Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato (sic!) […] Sarebbe tagliare il burro col rasoio capire il ruolo sussidiario della scuola privata in un sistema d’istruzione dove lo Stato ripartiva dalle macerie di due guerre. Ma oggi quel “La scuola è aperta a tutti” dell’art. 34 e l’art. 117, lettera n che sancisce la potestà legislativa esclusiva dello Stato in campo generico dell’istruzione per assicurarne l’unitarietà, cozzano col cannibalismo liberista del sapere. Tutti hanno da essere uguali almeno difronte alla legge, dietro un banco scolastico o su un letto d’ospedale perché la libertà non coincide con l’uguaglianza se essere ed avere non sono pari nei settori chiave della vita. Dunque la rivoluzione, nel campo della scuola, è una ed una soltanto: essere servizio esclusivo dello Stato. Tutti allineati al drin di partenza, poi il merito verrà premiato senza la piaga del mercimonio, via l’usura sull’ignoranza, la nolontà di studiare, la pigrizia irresponsabile. Chi storce il naso (i lib-lab) crede la scuola inutile retaggio, vuole i banchi vuoti delegando la cultura alle fibre ottiche, on line, una smartphone school senza sveglie, zainetti, aule, sfigati professori. Il pezzo di carta si può comperare senza una stilla di sudore, basta selezionare l’offerta ad hoc per il caro bamboccio senza badare a spese. Quest’aberrazione già da tempo è un fatto, dilaga trasformando il tempio di Minerva in fabbrica di lauree e diplomi per i tanti Lucignoli sfaticati in cerca della scuola dei balocchi.