I crinali della civiltà tra Oriente e Occidente

 

I crinali della civiltà tra Oriente e Occidente

Ormai da molto tempo vari ed attenti osservatori di differenze e composizioni hanno fatto notare come uno dei crinali di civiltà tra Occidente e Estremo Oriente sia la dicotomia scontro-armonia. In breve, dove in Occidente (Eraclito: Polemos è padre di tutte le cose, di tutte le cose è re) si è costruito tutto attorno al concetto di contrapposizione di diversi da tenere in equilibrio, in Oriente si è sempre pensato al tutto come insieme armonico.

I crinali sono talmente forti, talmente possenti che attraversano le valli. Così nel marxismo gli occidentali hanno trovato l’esperienza dialettica massima, un’estensione di quella “civiltà dei giustapposti” che poi stava anche nella realtà delle cose, mentre Mao (ed Ho Chi Minh, ed altri) hanno trovato la suprema unità di popolo, il volontarismo del popolo come trasfigurazione dell’armonia che governa tutto, ricomposta non nella filosofia essenziale ma nel divenire storico.

Sui crinali si gioca anche un linguaggio. Come le religioni, anche i crinali di civiltà sono linguaggi polivalenti, se non totipotenti. Così ciascuna civiltà vi trova naturalmente una risposta ad ogni domanda, o nel caso in cui la risposta non possa esser trovata dentro un recinto ideale, rimanda ad epoche (non troppo) successive la riscoperta delle fons perennis del pensiero. Non fa, in fondo, nient’altro che adottare una parola per esprimere un valore, salvo normalizzare quella parola nel proprio linguaggio. Anche in tal senso la Cina ha dimostrato come, se le società non possano trasfigurarsi, possono senza alcun dubbio imparare lingue nuove, pur non essendo madrelingue.

Inutile dire che non esiste una civiltà superiore. Esistono però civiltà più reattive in certe situazioni e meno in altre. La Cina ci ha messo molto ad accettare la modernità (più del Giappone, o della civiltà islamica) perché lo scontro che genera, il progresso tecnico che squaglia, non era nelle sue corde. L’occidente era predisposto alla rivoluzione industriale ed al mercato come luogo della composizione di diversi, e della società di mercato come società di gruppi in diversione.
Il mondo moderno pone sfide di unità, di ricomposizione.

Ci manca molto un Hegel che si prefigurasse l’obbiettivo di ricomporre la società feudale rotta dalla rivoluzione con la dialettica. Adesso abbiamo imitatori esterofili (se non siamo cinesi non possiamo diventarlo) o chi non ha compreso che quello che viviamo è un torno di civiltà, non una bolla. Ed infatti si accalcano filosofie quantomai luminose, ma che pongono questa ricomposizione come auspicio, come obbiettivo da realizzare alla fine di una prassi, invece che ottenere tale ricomposizione passando attraverso la notte della realtà, cioè la divisione e la contrapposizione tra diversi.

Molta virtù si nasconde nell’accettare questo ordine di cose, cioè il dominio assoluto della divisione, verticale ed orizzontale. L’agire politico che ignori queste divisioni, non essendo adeso alla propria fonte descrive due volte il falso: una perchè non aderisce alla realtà manipolabile, la seconda perché si distacca dal fondo geostorico e geoculturale nel quale si trova ad operare. Chi invece giochi con regole condivise in profondità da coloro con i quali si confronta più facilmente interpreta, politicamente, la realtà che lo attraversa.

L’Occidente, l’Europa e l’Italia troveranno il modo di ricomporsi, dal loro dissidio di civiltà, continuando sul crinale, non ignorandolo. Si matura come civiltà divenendo sé stessi, non scimmiottando qualcuno. Ma altre civiltà, altri mondi possono dirci tanto su quanto questo cambiamento sia urgente.

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