Di Lorenzo merlo
Chi sei dei due? Ovvero, guarda la luna e lascia il dito.
“La credenza che la realtà che ognuno vede sia l’unica realtà è la più pericolosa di tutte le illusioni”.
Paul Watzlawick, La realtà della realtà.
Crea dieci segni differenti tra loro. Ad ognuno attribuisci un suono. Combinali tra loro. Inizia a comporre parole che avranno il significato che vorrai. Vedrai comparire le cose e il mondo intero. Quel mondo sarà condiviso, e chi lo farà crederà che esso sia la realtà, vera e sola, come crederà che dire sedia sia semplicemente dire ciò che già è della sedia. Chi non lo condivide proverà a farti presente la natura autoreferenziale della tua improvvisata cosmogonia, ma non ci sarà niente da fare, continuerai a guardare il dito, a parlare di realtà oggettiva, di ciò che è vero e di quanto non lo è.
Ora dimentica tutto e riparti da capo. La sedia non c’è più, si chiama in altro modo. Quindi esci di casa per andare a comprare il xxxx (non si sa ancora cosa hai combinato con i dieci segni). Per strada incontri uno, quello per cui la sedia è una sedia. Ti chiede l’ora ma non capisci che vuole, nel tuo alfabeto di dieci segni e suoni, quello che chiede non esiste. Lui insiste e se la prende perché tu vuoi andartene e non vuoi aiutarlo, crede lui. Ti ha solo chiesto l’ora, che c’è da prendersela? Si domanda. A dire il vero è lui che se la prende, tu sei soltanto seccato, anche perché il negozio poi chiude. Te ne vai. Lo lasci lì. Lui non capisce anzi, non ammette. Nel suo mondo non è possibile che accada quanto sta accadendo. Potrebbe allora restare basito, invece – guarda un po’ –, se la prende. Infatti, mentre tu te ne vai, ti afferra una spalla come fanno i terzini con l’attaccante in fuga. Ora è troppo. Ma che fa? Ti chiedi. È pazzo? Domanda retorica. No, in realtà è sostanziale, perché non c’è altro da tirar fuori dai tuoi dieci segni.
Linguaggio: ciò che resta di tutto il pensiero per l’ineludibile necessità storica di sbrigare le sue faccende. Già averne consapevolezza basterebbe per evitare di crederlo idoneo alla gestione delle relazioni. Queste sono un territorio mobile, in cui le cose non stanno ferme come un posacenere sul comò, ma fluttuano come un universo di stelle, che non sono poche come le lettere di una tastiera o i tuoi dieci segni, ma infinite.
L’emozione corre più veloce della luce, e ti è saltata addosso. Se non l’anticipi con qualche espediente di consapevolezza, una volta che arriva ricorda Gengis Khan: sei catturato e lei farà di te qualunque cosa, anche un assassino e tutto il peggio che i dieci segni permettono di pensare e quindi di realizzare. Avviluppati da un’emozione, non c’è più niente da fare, scende il buio. Anzi, di più: tutto sparisce. Tutto quello che sapevi, che volevi, i valori in cui credevi e di cui ti vantavi. E adesso? Che fai? Non scherziamo. Non c’è proprio lo spazio fisico per queste domande. Per nessuna domanda. Nel tuo mondo occupato dall’azione, non c’è neanche un angolino per la riflessione. Sempre che i tuoi dieci segni te l’avessero a volte permessa. Nell’emozione il dubbio, puff, svanisce dal panorama.
Ti giri come se fossi in diritto di fare ciò che stai per compiere. A dire il vero, non come se, ma proprio in pieno diritto, come una biglia da flipper che altro non può fare che eseguire l’ordine della leva che l’ha spinta su. Se prende il fungo e fa punti, il suo padrone-lanciatore sarà contento, diversamente, se la prenderà col mondo – delle volte fino al tilt – quando, alla fine dei suoi pazzi rimbalzi finirà in buca.
Ecco sì, con la cecità e irresponsabilità di una biglia di flipper, ti giri – o ti eri già girato? Non ricordo più chi era uno e chi era l’altro – e con una forza che non sapevi di avere, gli vomiti un urlo che Joseph Conrad (vedi sotto) è niente al confronto. Sì, perché non ragionato, architettato, organizzato. È un bolo di violenza, un misto di tutto quello che, goccia dopo goccia, eri stato capace di stivare nel tuo profondo e avevi creduto d’aver dimenticato. La legge del quieto vivere era il tuo solo comandamento, il buon senso la tua medicina. Anche se, per la verità, avvertivi qualcosa di artificioso, o peggio, di disumano, in quella prassi razionale, con cui incassavi più di Jake La Motta contro Sugar Ray, che tutti ti invidiavano per la purezza con la quale ne pennellavi la vita.
La tracimazione è un modo gentile, e perciò anche improprio, per definire l’evento e il suo cuore di tenebra che sta per irrompere sull’altro. Uno scroscio di parole lo investono da tutti i lati, anche da sopra e da sotto. Non c’è freno, l’argine golenale è scavalcato, e quello maestro non basterà. Non c’è speranza che possa salvarsi. Si divincola cercando parole che non trova. E anche se ne trova non escono dalle labbra, e le poche sgusciano fiori impiastricciate di rabbia e sono soltanto frammenti, balbettii, affanni di una reazione da flipper.
Come se i suoni e i rispettivi significati fossero proietti scoccati, si sente scosso, si trova disarmato, si accorge di essere ferito e forse morente, con soltanto il tempo per chiedersi il perché di tutto ciò, pur sapendo che la domanda era stupida in assoluto e anche in particolare. Come mille altre volte durante le loro vite se l’erano posta senza mai trovare una risposta degna, all’altezza della loro grande razionalità, così capace di osservare con logica i fatti del mondo, così adatta a risolvere tutti i problemi, a piallare i picchi e gli abissi esplorati dagli uomini. Quella, come altre volte, il loro vantato sapere non sarebbe bastato. Come altre volte, non avrebbe avuto risposta.
Di fatto, a parte il momento di un baleno, in cui quel ma perché? si era affacciato alla loro coscienza, non c’erano state le condizioni per tenerla ferma. E neppure per lasciare al moralismo l’agio di darle dignità e la forza di rinchiuderla, all’autostima di soddisfarla e al fato di prendersela, se proprio altro non si poteva.
Tutte considerazioni pertinenti e realistiche, ma sostanzialmente inefficaci. Infatti, seppur non l’avesse visto arrivare, non aveva dubbi, un pugno l’aveva colpito in pieno volto. Anche per lui si fece tutto buio. Anzi no, anche per lui sparì il mondo o meglio, si ridusse al sapore di sangue in bocca. Quell’organo acquoso, con quel fastidioso retrogusto, che dire metallico è forse ciò che più si avvicina, pure restando molto lontano.
In altre occasioni era stato capace di rinunciare a sé, e non gli era neppure costato in autostima. Mentre il sangue lo ingozzava e la sensazione che un altro colpo stesse per raggiungerlo, pensò al passato con lo straniamento di colui che non lo vede tornare indietro per lasciargli tra le mani un presente che lo ricrei diverso, senza dolore. Solo l’istante successivo, si ritrovò solo e stranito da se stesso per non essere stato capace di lasciar perdere anche quella volta. Eppure lo sapeva, ne aveva esperienza.
Questa volta arrivò dal lato opposto. Gli prese l’orecchio e secondo lui, quell’altro si fece pure male alla mano. Non voleva trovarsi lì. Per un attimo si trovò faccia a faccia ancora con l’idea della reversibilità del tempo. Che in quell’istante non gli pareva idiota.
Anzi, lei, l’idea della reversibilità del tempo, c’era e non era per niente idiota nel mondo senza peso dei quanti. Forse in quell’infinitesimo di eternità aveva dato tutto se stesso per farla esistere anche nel mondo pesante della materia. Prima o poi qualcuno ci sarebbe riuscito. L’orecchio gli doleva e l’aria pareva ovattata come dopo una granata. Tuttavia viveva in lui la speranza che si potesse verificare anche nel mondo degli oggetti. Anche se da un lato la sentiva forte e vivida, dall’altro vedeva che si impiccava da sola. Una volta materia, le leggi dell’energia sottile vengono meno. Ma allora cosa l’aveva portato dove non voleva essere?
Erano finiti a terra e l’altro gli stava sopra. Sarebbe bastato, avrebbero detto in tanti. E invece no. Seguitava a colpirlo in preda al demonio. Nessuno e nessun ragionamento lo avrebbe fermato. I dieci segni della ragione sono diversi dai dieci segni dell’emozione. Ma a loro non era stato insegnato e continuando a guardare il dito non avevano mai visto la luna.
Chi sei dei due? La domanda è retorica, provocatoria e fuorviante. La risposta è che se non vediamo la luna, saremo sempre entrambi.
“Fin da quando nasciamo, gli altri ci dicono che il mondo è in un determinato modo, e naturalmente noi non abbiamo altra scelta che accettare che il mondo sia così come gli altri hanno detto che è”
Carlo Castaneda, Una realtà separata, Roma, Astrolabio, 1972.
“Gli uomini erano vittoriosi o sconfitti, e a seconda di ciò diventavano persecutori o vittime. Quelle due condizioni prevalevano fin quando un uomo non arrivasse a ‘vedere’; il ‘vedere’ scacciava l’illusione della vittoria, o della sconfitta, o della sofferenza”.
Carlo Castaneda, Una realtà separata, Roma, Astrolabio, 1972, p. 122.
“La mente dell’uomo è capace di qualunque cosa – perché in essa c’è qualsiasi cosa, tutto il passato come tutto il futuro. […] I principi non servono. Sono acquisizioni, abiti, stracci graziosi – stracci che volerebbero via al primo serio scrollone. […] Naturalmente, uno sciocco, tra la semplice paura e i nobili sentimenti, è sempre al sicuro”.
Joseph Conrad, Cuore di tenebre, Milano, Mursia, 1978, p. 111.
“Ma prima che potessi giungere a una qualunque conclusione mi venne in mente che parlare o tacere, invero qualunque mio gesto, sarebbe stato del tutto futile. Che importava ciò che chiunque sapesse o ignorasse”.
Joseph Conrad, Cuore di tenebre, Milano, Mursia, 1978, p. 117.