I guardiani del Faro

 

I guardiani del Faro

Niente a che fare col musicista Federico Monti Arduini, noto con lo pseudonimo di Guardiano del faro, felice interprete del brano Il gabbiano infelice, ma neppure con la coppia Elisa e Alessandro, giovani ingegneri, custodi del faro di Punta Palascia, hanno riacceso quella “lanterna” salentina del 1867, piccola stella nella notte per gli argonauti. No, Faro è una città dell’Algarve in Portogallo con tanto di laguna che la divide dall’oceano, lì, in terra lusitana ammaliati dal  fado, sorseggiando Porto, i rappresentanti del Consiglio d’Europa, fecero scivolare un testo dal titolo  pomposo Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, overture del trattato il 27.10.2005 sottoposto alla firma degli Stati membri dell’UE e degli Stati non membri, in pratica un missionario salvagente per la cultura d’ogni latitudine.

Di che si tratta? Fumus oculis basta leggerne un riassuntino:  La Convenzione parta dall’idea che la conoscenza e l’uso del patrimonio rientrino nel diritto di partecipazione dei cittadini alla vita culturale, come definito nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

Il testo presenta il patrimonio culturale come fonte utile sia allo sviluppo umano, alla valorizzazione delle diversità culturali e alla promozione del dialogo interculturale che a un modello di sviluppo economico fondato sui principi di utilizzo sostenibile delle risorse.

Sembrerebbe scritto ad Assisi col miele francescano, un testo volto a fare della cultura un bene orizzontale, un tesoro pop per conoscenza, valorizzazione, protezione, vocato al dialogo interculturale perciò colombina di pace fra i singoli Paesi, ecumenismo laico fra  comunità diverse nel reciproco studio e rispetto.

Demagogia delle buone intenzioni in un bla, bla dovizioso di sani principi articolati in V Parti, ad oggi ventun Paesi del Consiglio d’Europa l’hanno ratificata (più l’Armenia), oltre all’Italietta vermiglia e a  ben scorrere i nomi, anche un analfabeta, osserverebbe che mancano i colossi deii non membri, nessun Paese del Continente africano, nessuno delle Americhe, nessuno dell’Asia e del Oceania, con grossi buchi neri nella vecchia Europa, Spagna, Francia e Germania. Dov’è l’inghippo o la tagliola del Consiglio d’Europa nel porre sulla scrivania degli Stati membri e non, questo fosforoso testo di glucosi principi. All’articolo 4 comma 3 si dice: “l’esercizio del diritto all’eredità culturale può essere soggetto soltanto a quelle limitazioni che sono necessarie in una società democratica, per la protezione dell’interesse pubblico e degli altrui diritti e libertà”. Limitazioni  necessarie,altrui diritti sono le parole dei cancelli. Ancora: art. 6 ( Effetti della convenzione) comma 3: generare diritti immediatamente suscettibili di diretta applicabilità,(?) è un’entrata a gamba tesa sulla disciplina del diritto in Stati sovrani? E ancora, art. 7 (Eredità culturale e dialogo) commi 1-2: incoraggiare la riflessione sull’etica e sui metodi di presentazione dell’eredità culturale, così come il rispetto per la diversità delle interpretazioni;

stabilire i procedimenti di conciliazione per gestire equamente le situazioni dove valori tra loro contraddittori siano attribuiti alla stessa eredità culturale da comunità diverse.

Etica, metodi di rappresentazione, rispetto per la diversità, Se questi punti, a parere d’ una minoranza, dovessero essere contestati si attiveranno procedimenti di conciliazione da parte del solito Comitato spione (composto da paggi del potere) con tutto quel che ne consegue.

Insomma nella lagna di parole edulcorate, col fine di rendere più democratica la partecipazione, fruizione e finanziamento  del patrimonio culturale della comunità, si instillano  gocce  d’arsenico sulla sovranità degli Stati nella gestione dei propri beni.

L’esegesi del trattato ha scatenato lo scazzottamento degli “eletti” nel Palazzo dopo la sua ratifica definitiva alla Camera dei deputati il 23 settembre scorso. Il Senato aveva detto yes nell’ottobre dello scorso anno, fu una delle prime prove rosso-fucsia, in filiera col governo Letta del 2013.

Ne è scaturita una bagarre,  a pelle sembrava un rigurgito post elettorale tra presunti vinti e vincitori con le tasche bucate di argomenti seri, mentre il Paese per salvarsi dai briganti se ne va per fatti suoi, cantando sì Bella ciao ma alla politica degli inetti, alla Cassa integrazione vuota, al welfare di uno Stato che non c’è, tanto dei sbandierati 209 miliardi non cadrà un euro fuori dalle reti dei partiti e dalle fauci delle banche.

Così tornando a noi, i media cortigiani al Nazareno sostengono la pretestuosità degli argomenti sollevati dall’opposizione, non è in pericolo la muliebre nudità della Venere Capitolina né del divo Apollo, anzi la convenzione è salvaguardia democratica della nostra eredità culturale, bene  centrale della nostra storia e del quale tutti dobbiamo sentirsi legittimi eredi e custodi, sì ma con l’occhio del grande fratello incollato al buco della serratura.

Suvvia! Le limitazioni dell’art. 4, sono dovute al…COVID! L’ipocrisia regna sovrana al MiBACT, amnesie sinistre del Ministro Franceschini che nulla, sostiene, sapesse dei paraventi bigotti in Campidoglio per celare la nudità di statue agli occhi verginali (sic) dell’emiro Rouhani.

La sinistra beghina del politicamente corretto, procede ottusa nella cessione della nostra sovranità, è l’ecumenismo della riduzione unilaterale della libertà nazionale e personale, ci ricorda Origene che, dicono gli agiografi. si evirò per non cadere in tentazione d’amore, nel loro caso…di Patria.

 

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