I leoni morti

 

I leoni morti

Berlin, mein Berlin… Quando decisi, allora vivevo a Francoforte, di trascorrere un fine settimana a Berlino misi come compagno di viaggio e guida turistica ”I leoni morti di Saint-Paulien”, edito da poco dalla Volpe Editore. Libro che sarebbe divenuto di formazione insieme a “Che cos’è il fascismo?” di Maurice Bardèche e, pochi anni dopo, a “Il cavaliere la morte e il diavolo” di Jean Cau, di cui avevo visto l’acquaforte del Duerer recandomi di proposto al museo di Karlsruhe. Ulteriore segnale – con gli scritti di Céline di Drieu la Rochelle e di Brasillach – del peso specifico della cultura “nostra” francese. (In Italia le opere di Jean Mabire sulla divisione Charlemagne non sono state tradotte. Io possiedo tutte e due le copie in originale).                                                                                                            

Con il fascino e l’autorevolezza de I leoni morti il mito della battaglia di Berlino, Le ultime ore dell’Europa, di cui Adriano Romualdi stava elaborandone senso e valore, si rafforzava quale contrapposizione non soltanto con le chiacchiere di esportazione della sinistra (il Che, su cui vi sarebbe ben altro da dire, e i volti truci di Marx Engels Lenin e quello sornione di Mao), ma il convincimento, caro a Leon Degrelle, che in caso di vittoria sarebbe stata proprio quella gioventù raccolta nelle file delle Waffen SS a dare vita a un nuovo ordine europeo mitigando l’egemonia tedesca. Andare a Berlino, dunque, e ricercare i luoghi descritti nel libro di Saint-Paulien rappresentava un itinerario dell’anima più che un percorso geografico. E così l’intesi.

Al valico, unico transito per gli stranieri, il Check Point Charlie, la Volkspolizei mi fece storie ma, alla fine – s’era formata una coda insofferente e bisbetica –, riuscii a farlo passare come viatico per orientarmi, inutile perché la distruzione e la ricostruzione ( ancora s’ergevano a metà anni ’60 macerie ed edifici sventrati) erano state così totali e complesse e, in alcuni casi, i nomi stessi delle strade cambiati. L’Ovest con le sue luminarie pacchiane e consumistiche; l’Est grigio e sordido. Un libro che, con le gesta del suo passato spettrale ed eroico al contempo, proteggeva il mio passo e la mente ed il cuore. Nostalgia dello ieri contro la volgarità dell’oggi. Per lo strano intrecciarsi del destino il libro avrà un suo ruolo, pur se secondario, nella vicenda processuale e, suppongo, stia ammuffendo in qualche archivio giudiziario tra altre polverose inutili scartoffie di una storia senza fine.                                                                                                   

In questi giorni è uscito un agile volume a cura di Massimo Lucioli, dal titolo “Endkampf” proprio sui combattenti della Charlemagne fra le macerie ed il metrò della capitale del Reich. Essendo l’autore un valente ricostruttore “dal vivo” di scene divise armi eventi, suppongo valga la pena darne lettura. Conto riuscire ad essere alla presentazione dall’amico Claudio a Frascati, la sera di venerdì 24 c.m. e, comunque, l’eroico e l’epico si sposano e si fondono con la strafottente sfida contro i vincitori e la barbarie che soffiava dall’Est… traducendo sulla carne la definizione che Robert Brasillach dava di quella irripetibile gioventù “anticonformista per eccellenza, antiborghese sempre, irriverente per vocazione”.

Torna in alto