Il Buran

 

Il Buran

“La guerra per la patria” è il guanto di sfida di Volodymyr Zelensky sulla guancia di ghiaccio di Vladimir Putin, la resistenza degli ucraini rallenta la chiusura a tenaglia sul Paese, il tempo d’una guerra lampo si dilata simile agli orologi di Dalì ma la forbice delle forze in campo non lascia dubbi sull’esito del conflitto voluto dal Cremlino, poi sarà guerriglia? Samo in pianura, l’Hindu Kush dei mujiadin è in Afghanistan, qui la resistenza può essere solo urbana, mentre donne e bambini fuggono in un esodo biblico.

Credo che gli occhi di Dio sul mondo siano prorio quelli dei bambini e quando si spengono perché ne viene ucciso uno, anche uno soltanto, questo è il crimine più orrendo, l’ infanticidio, il Saturno di Goya, nella casa del sordo, che divora i propri figli per paura di perdere il trono. E’ il potere assoluto il re della morte, senza bizantinismi intellettuali la guerra è strage di innocenti, da Guernica in poi s’ ammazzano gli inermi e non esistono analisi, opinioni pelose, buonismi inconcludenti o derive sulla scelta di campo, la guerra va cancellata, punto, mai cedendo all’odio di Caino. Chissà dovremmo versare acqua nel sangue degli uomini, come diceva Tolstoj, per avere angeli in luogo di demoni, ma la realtà presente testimonia eterno il ricorso alle armi, senza soluzione di continuità, quante guerre sono divampate dal ‘45 in poi, una semina di sangue un po’ ovunque con l’unica ragione del potere con tutte le sue maschere ghignose.

A proposito dell’Ucraina citavamo, nel precedente articolo, il soffio americano spintosi sempre più a Oriente, il volo dell’aquila calva con la sua ombra minacciosa ha sorvolato spazi impensabili al tempo della cortina di ferro, deponendo uova NATO, una conquista militare silenziosa, usando l’allargamento a Est dell’UE sino ai confini della Russia e sottraendole ipso facto la sua influenza sui Paesi slavi, chiudendola all’angolo come si fa a un pugile barcollante in attesa crolli per know down senza colpo ferire. Quel soffio atlantico pareva brezza fresca venuta dal mare a rigenerare sopiti valori irrinunciabili per l’uomo, libertà, democrazia, proprietà privata, libera impresa, tutti diritti negati o peggio calpestati dall’imperialismo sovietico fino agli anni ‘90, la fiaccola dalla Liberty Island voleva diradare il buio cupo della notte comunista.

L’implosione dell’U.R.S.S. ha frantumato l’Impero (idea invece cardine nel pensiero geopolitico russo), Yeltsin, per vodka e default economico, lasciò che Ucraina e Bielorussia si proclamassero Stati indipendenti contro il parere di M. Gorbaciov (di madre ucraina) e persino di Aleksandr Solženicyn, quel net dell’ultimo Presidente dell’Unione sovietica e dello scrittore simbolo della dissidenza anticomunista, era espressione di diniego alla centrifuga occidentale che separava le popolazioni russe dalla loro storia unitaria.

Ucraina vuol dire “confine”, “limite” oltre il quale è Russia, la Santa Russia, baluardo all’Occidente secolarizzato, immagine escatologica di diga al mondialismo contro il quale Mosca, la Terza Roma o la Terza Internazionale, hanno levato gli scudi a difesa dell’Impero investite da un progetto messianico che va dal cristianesimo ortodosso alla rivoluzione del proletariato. Putin cavalca l’Eurasiatismo del XIX secolo, rivisitato e corretto dal filosofo Aleksandr Dugin, dopo la polverizzazione dell’Impero sovietico, la Russia persegue l’unità politico-culturale con le repubbliche che storicamente sono membra del suo corpo, alzando steccati contro Stati Uniti e UE seminatori di valori del tutto estranei alla tradizione della Rus fondata sul binomio inscindibile tra potere politico e cristianesimo ortodosso, “radice dell’identità stessa della Russia” sottolineò lo stesso Putin in occasione della festa per i 1130 del battesimo del principe Vladimir il Grande nelle acque del fiume Dnepr. Cristianesimo apofatico e politica sono vasi comunicanti nel pensiero e nell’azione russa, se persino l’ateo bolscevico Stalin tornò sui suoi passi per combattere il nazismo nella Grande Guerra Patriottica, capì che non bastava il marxismo, bisognava far leva sul sentimento religioso incardinato nella secolare tradizione del Paese.

Due venti contrastanti, ponente e levante, si scontrano nel conflitto ucraino generando macerie, il gigante di ghiaccio sembrava morto, sepolto in quel che restava del suo territorio, i nani ballavano gaudenti al suono tedioso della global song e invece l’orso s’è risvegliato dopo il letargo, ha fame, è in armi e soffia il Buran siberiano, ma non dite che i bambini sono morti solo per le sue unghie, quelle gliele ha affilate per bene proprio l’Occidente.

Immagine: https://freddofili.it

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