Il Covid-19, lo “scientismo” e la lezione di Eric Voegelin
Continuiamo a non sapere «quando terminerà il coronavirus» e possiamo solamente «speculare sulle sue conseguenze economiche e politiche»: lo scriveva poco più di un mese fa Ivan Krastev (cfr., «Il Foglio», del 30 marzo). Ma nella sua analisi il politologo aggiunse un particolare sibillino: «Le epidemie sono degli eventi – non delle tendenze – che mettono sotto pressione le società in cui si diffondono. Questi sforzi evidenziano delle strutture latenti che altrimenti resterebbero nascoste». Lecito dunque chiedersi: quali sono queste strutture latenti?
Sono quelle che abusando della ragione hanno pensato di orientare la vita socio-economica e l’esistenza degli individui. Influenzata dallo storicismo e dallo scientismo, infatti, la filosofia politica moderna ha originato un prometeismo dell’umano privo di ogni senso del limite risoltosi nella credenza che l’uomo possa conquistare tutto, che abbia diritto a tutto.
Non è andata proprio così e ce ne siamo accorti. Le miserie umane legate alla diffusione del Covid-19 lo dimostrano. Se siamo arrivati al punto in cui siamo, lo dobbiamo alla centralità assunta, nel “villaggio globale”, dall’onnipotenza dei tecnici, degli specialisti, dei professionisti del della scienza. Dei depositari, cioè, di una credenza destinata inesorabilmente al fallimento visto che nessun potere dispone di tutta la conoscenza essenziale per dirigere e controllare la società.
L’intensificazione del graduale svuotamento della traditio consumatosi negli anni dell’utopia globalista non è una novità. É bensì il frutto di un progetto che viene da molto lontano. Lo conferma l’evoluzione politico-filosofica di una certa parte della tradizione illuminista e razionalista, nello scientismo, nel positivismo, nel materialismo storico in alcune di quelle concezioni, idee, visioni che avrebbero contribuito a preparare nel corso della storia il ‘terreno’ ai sistemi liberticidi del ’900.
Lo scientismo di oggi – sul cui altare si è consumata forzatamente la transustanziazione ideologica della rappresentatività in arido tecnocratismo – discende da quello illuminista fondato anch’esso sul monopolio della ragione e delle scienze naturali. Esse affermano, infatti, la validità di un’unica ‘idea’ a scapito della tradizione culturale umanistica e di un metodo esclusivo per comprendere la realtà puntando a realizzare un ordine politico perfetto nel quale non vi è spazio per la rappresentatività, la sovranità nazionale, l’identità e la cultura tradizionali.
Il punto cruciale di questa analisi ci conduce a quella proposta da Eric Voegelin nel 1948 in The Origin of Scientism: lo scientismo non è altro che un modello di pensiero coinvolto in una più profonda tendenza del pensiero occidentale: il processo di progressiva secolarizzazione, ossia di negazione della trascendenza, caratterizzante l’età moderna e contemporanea.
Un modello riflesso nelle trasformazioni della struttura sociale dell’Occidente nel XIX e nel XX secolo come preludio di quanto abbiamo visto accadere nel Terzo Millennio: «The ramification of science into technology; the industrialization of production; the increase of population; the higher population capacity of an industrialized economy; the transformation of an agricultural into an urban society; the rise of new social groups – the industrial proletariat, the white-collar employees, and an intellectual proletariat; the concentration of wealth and the rise of managerial class; the ever-increasing numbers of men who depend for their economic existence on decisions beyond their influence; the dependence of national power on a highly developed industrial apparatus; the dependence of the industrial apparatus on the political accessibility of markets of raw material».
Lo scientismo si è imposto sostituendo la realtà sostanziale con quella fenomenica, riducendo la complessa realtà individuale e sociale ai soli elementi immanenti, privando di validità quel tipo di conoscenza che, per sua natura, contempla anche la dimensione metafisica e spirituale del mondo.
Il progetto realizzato – come scrisse Voegelin – è delirante: produce una ‘nuova scienza’ che, esplorando solo il mondo fenomenico e le relazioni tra fenomeni sensibili, pretende, da un lato, di conoscere “the real order of nature” – ovvero le leggi universali della realtà naturale, sociale e politica –, e, dall’altro, di fondare una conoscenza dell’uomo e dell’universo “that is supposed to replace the knowledge of substance originating in spiritual experience”.
Da tutto ciò non può che scaturire una società naufragata de facto in un nuovo totalitarismo alimentato da sistemi logici che ridisegnano ‘scientificamente’ una società scevra da difetti, nella quale l’analisi critica e la riflessione teorica sono sostituite da un’ideologia economica e da una “scienza” politica che accumula fatti riducendosi a doxa neutralizzando gli aspetti fondanti dell’esistenza. Che non a caso corrispondono, in una diabolica eterogenesi dei fini, all’elenco dei divieti impostici dal lockdown di questi mesi.