Il deserto globale delle culle

 

Il deserto globale delle culle

Nel 1928, la Libreria del Littorio pubblicava un testo di Richard Korhen intitolato Regresso delle nascite: morte dei popoli. L’edizione tedesca dell’anno precedente aveva la prefazione di Spengler, quella italiana venne introdotta da Mussolini.

In quel testo dimenticato e praticamente introvabile già si denunciava – in tempi in cui  alcuni paesi europei conoscevano un decremento delle nascite – come l’avvento di Cosmopoli, quello che Mc Luhan chiamerà il villaggio globale, fosse alla radice della decadenza dell’Occidente in quanto avrebbe favorito l’afflusso di masse sradicate disponibili a essere sfruttate, scardinando le antiche strutture di convivenza non più in linea con le nuove forme di sfruttamento tecnoscientifico.

A quasi cent’anni dalla previsione dobbiamo parlare di una capacità di analisi davvero lungimirante, anche se anticipata da Marx, quando parlava dell’esercito industriale di riserva che il capitalismo genera per la sua stessa natura predatoria e che poi utilizza quando si tratta di abbassare il prezzo del lavoro e diminuire le tutele del lavoro e dei lavoratori. Appare chiaro, infatti, che il problema non è mai e non può essere mai il singolo essere umano che arriva in Europa, quanto piuttosto l’afflusso massiccio di un ammasso umano indifferenziato che si rivela funzionale non solo alla perdita di dignità del lavoro e del lavoratore, ma anche alla standardizzazione di merce e persino di cibo identici in tutto il mondo.

È abbastanza chiaro che una produzione standardizzata possa essere prodotta in modo più economico e redditizio di una differenziata in base alle culture di accesso del prodotto. A tal fine, per forzare la resistenza europea, più solida per ragioni storiche, si è proceduto all’anemia del carattere con dosi massicce di pacifismo senza se e senza ma – ben oltre ogni fantasia masochistica di sottomissione – oltre alla produzione di sensi di colpa collettivi – per il fascismo, per l’antisemitismo, per il colonialismo, per la schiavitù – annaffiando il tutto con abbondanti dosi di edonismo individualistico e svuotamento intellettuale operato dalla “buona” scuola, dalla televisione, dal cinema, dalla cultura dell’immagine.

Anche i recenti polpettoni cinematografici della Marvel introducono senza pudore e soprattutto senza senso storico, sensi di colpa che non hanno nessuna ragione di esistere. Basti pensare al recente Black Panther nel quale, al di là delle cifra estetica non bassa, è dichiaratamente tematizzato un evidente falso ideologico: quello per cui la colpa della schiavitù e della povertà africana sarebbe responsabilità di “altri”, quando è ben noto storiograficamente che i mercanti europei compravano gli schiavi dai mercanti arabi che li ottenevano direttamente dai capi tribù locali che si facevano guerra allo scopo preciso di procurarsi prigionieri da vendere.

Una colpa tuttavia l’Occidente ce l’ha: aver desertificato le culle, abbandonandosi a una cultura materialistica che ha generato l’unica aspirazione a “godersi” la vita, e aver sostituito i bambini con i cani.   

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