Historia magistra vitae, dicevano i padri latini: un’affermazione tragicamente caduta in disuso, come del resto il latino. Si celebra, infatti, in questi giorni il rituale degli esami di Stato, il quale costituisce un’occasione per tornare a riflettere su quanto la pandemia abbia peggiorato qualsiasi indicatore non solo economico, ma anche sociale, morale e culturale. L’evento che ha modificato così in profondità la vita di tutti è stata anche l’occasione per assestare un ulteriore colpo al legame tra storia e vita che ha segnato la cultura occidentale e che soprattutto ne ha permesso la nascita e lo sviluppo. L’esame, con la scusa della pandemia, si è infatti ridotto a una pantomima che sarebbe comica se non fosse segno di una deriva preoccupante; quest’anno, poi, si è aggiunto una sorta di surrogato della seconda prova scritta che tuttavia gli studenti hanno prodotto da casa, con internet sottomano, e consegnato ai rispettivi Istituti e a fantomatici tutor che tuttavia non hanno nessun compito nello svolgimento e nella valutazione dell’elaborato.
Ancora una volta si è permessa l’ammissione con un’insufficienza anche grave, mentre l’orale vertendo su tutte le discipline e condensato per normativa in non più di 60 minuti, finisce per essere un caotico groviglio di nozioni e di chiacchiere in libertà. In altre parole, l’esame non è che il sigillo conclusivo a corsi scolastici che si vogliono sempre più dequalificati, semplificati e facilitati in modo da assicurare surrettiziamente il “successo” scolastico. Come se quest’ultimo fosse assicurato da una burocratica promozione e non piuttosto da una seria preparazione ricevuta tra le mura scolastiche. A quest’andazzo la pressoché totalità dei docenti si è oramai rassegnata e segue la corrente per quieto vivere, per nichilismo o perché impegnata in altre attività. Ma non si vuole, con queste righe, essere semplicemente un laudator temporis acti; la reazione alla distruzione dell’istruzione voluta da tutti i ministri che si sono alternati – quasi tutti docenti universitari che poi, magari, lamentano in documenti e lettere aperte il fatto che gli studenti non siano alfabetizzati.
Ma chi è causa del suo mal… – è assolutamente necessaria, a meno che non si voglia, e lo diciamo seriamente, ritornare a quel libello di Giovanni Papini che invitava a chiudere le scuole. Concepita e svolta in questo modo, infatti, la Scuola è diseducativa nei confronti della vita: se la società e la scuola sono ormai liquide, la vita è rimasta una realtà solida. Se la scuola è facile, la vita è difficile; se la scuola premia anche il disimpegno, la vita a volte non premia neanche l’impegno; se la scuola è morbida e “inclusiva”, la vita è dura e tende ad escludere perché non ha spazi sufficienti per tutti. La causa che ha prodotto una generazione che non sa più vivere perché non sa accettare, e superare, le difficoltà della vita si trova, in gran parte, in una Scuola che ha divorziato dalla vita e anzi le si contrappone. Cambiamola o chiudiamola.