Il 15 ottobre 1940, nel tardo pomeriggio, il sommergibile Cappellini in immersione avvista il piroscafo Kabalo di 5000 tonnellate, al servizio della marina inglese, carico di armi. Siamo in Atlantico ove operano, con base a Betasom, sottomarini italiani in accordo con gli U-boot tedeschi. Il comandante Salvatore Todaro dà rapido ordine di emergere e con il cannone l’affonda. Poi aggancia la scialuppa di salvataggio con i ventisette naufraghi e li traina, portandoli in salvo, prendendoli a bordo per evitare d’essere avvistato da aerei nemici, sulla costa delle isole Azzorre. Un gesto rischioso e raro tanto che viene lodato dalla stampa internazionale. “… felice il Paese che ha dei figli come Voi!” (involontaria e significativa risposta alla celebre affermazione di Berthold Brecht su quella “terra benedetta” che può fare a meno di eroi), da lettera spedita, sembra, dalla madre portoghese di uno dei sopravvissuti.
E vale la pena ricordare quanto ebbe a dire, con larvato rimprovero, rivolgendosi ai colleghi italiani presenti ad un incontro a Bordeaux, l’ammiraglio tedesco Karl Doenitz: “Signori, io vi prego di ricordare ai vostri ufficiali che questa è una guerra e non una crociata missionaria. Il Signor Todaro è un bravo Comandante, ma non può fare il Don Chisciotte del mare”. Conosciamo la risposta: “una civiltà vecchia di duemila anni impone agli italiani doveri che altri popoli possono anche fare a meno di sentire”.
Su Salvatore Todaro e il suo ardimento vi sarebbe altro da aggiungere come l’impegno con la XMAS (sua, se non erro, la definizione dello scudetto con la rosa fra i denti del teschio) prima nel mar Nero davanti a Sebastopoli e poi la morte in azione mentre guidava l’ennesima impresa sulla costa tunisina. Concessagli la Medaglia d’Oro e, oggi, il suo nome indica la classe di moderne unità di marina. Forse essere eroi ha un senso nonostante dimenticanze ed abiure…
Si dirà “italiani, brava gente” – e ci saranno degli storici, cialtroni e faziosi, che si premuniranno di smentire questo “luogo comune” citando nefandezze fasciste con l’uso di gas micidiali durante la conquista dell’Etiopia del ’36 o le rappresaglie nella penisola balcanica dopo il 1940, utilizzate a giustificare foibe ed esodo conseguenti. Non è questo il nostro intento. La vergogna dell’8 di settembre ha dimostrato come certo “buonismo” corre il rischio di divenire un “tutti a casa” …
Dall’altra la spietatezza e la ferrea disciplina da caserma. Una sorta di “amor fati” (si rilegga uno dei pensieri nel Taccuino segreto di Cesare Pavese ove si evidenzia – e direi con ammirazione – come sia il soldato tedesco ormai solo contro il mondo intero). Non faremo nostro il titolo di una delle opere del “nostro” amico, una sorta di lavacro, quel essere Al di là del bene e del male che fu fra le prime letture, quando ancora incerti e sprovveduti adolescenti cercammo uno spazio ove misurare le forze. Solo questione di estetica, se si vuole. Un bel gesto e il richiamo al Don Chisciotte che, con Cyrano (de Bergerac) ed Emilio di Ventimiglia (il Corsaro nero), ci tengono da sempre costante compagnia.