Il futuro dell’Italia

 

Il futuro dell’Italia

Il fallimento di una nazione non si può basare sui bilanci, né sui beni, né sulle riserve auree, né su altre quisquilie economiche.

Una nazione fallisce solo quando perde la propria identità, rinnega la propria storia, non è in grado di sanare i propri elementi di frizione e frattura e soprattutto non lascia niente ai propri discendenti prossimi o remoti.

Sicuramente l’Italia è sull’orlo del fallimento, ma non perché ha un enorme debito pubblico e non ha più una moneta, neanche perché la sua notevole riserva aurea non si sa dove sia finita né se sia ancora nella nostra disponibilità, ma soprattutto perché ha perso la propria identità, il senso di appartenenza ad una comunità forte, coesa, consapevole di un proprio destino, con una storia condivisa ed un patrimonio culturale unico al mondo cui attingere per risolvere i guai ed i problemi dell’umanità.

A questa perdita d’identità contribuiscono, senza ombra di dubbio, le varie istituzioni ad iniziare dalla scuola che non insegna più ad amare la propria terra, né il significato profondo dell’essere italiani e i principali elementi di una civiltà virile e capace di esaltarsi in ciò che ha costruito nei secoli come bagaglio per affrontare le scommesse dell’oggi.

Anche le università, principale creazione dell’Italia medioevale, non formano più i grandi umanisti che si sono affermati nei secoli in tutti i settori da quello artistico a quello scientifico, ma sfornano mediocri tecnici o tecnocrati, se non addirittura ignoranti, per fornire una classe “dirigente” appecoronata ai dettami di una politica venduta e servile.

Tutta questa disaffezione verso i propri interessi nazionali deriva soprattutto dall’aver perso l’ultima guerra e dall’averla persa nel modo peggiore, con uno scontro fratricida ancora irrisolto e che non s’intende ancora affrontare per la coscienza sporca di chi ritiene di aver vinto e non vuole ammettere che si è donata la nostra dignità ad un esercito nemico che ha vinto e continua ancora oggi ad occuparci senza che vi sia alcun sussulto di insoddisfazione e ribellione.

Solo facendo i conti con la nostra storia e cercando di mettere fine alle ragioni dell’odio si può sperare in un futuro diverso per l’Italia e quindi per l’Europa. Non si può però pensare di superare gli odi utilizzando date come il 25 aprile, che ha sancito la sconfitta finale e l’inizio della privazione della libertà nazionale, o canti come “bella ciao”, espressione e simbolo dell’odio fratricida.

Proprio dalla grande storia d’Italia e dal riappropriarci del significato profondo della nostra cultura millenaria può ripartire il senso della nostra identità, l’orgoglio di essere i discendenti e gli eredi di questo grande popolo, la volontà di tornare all’altezza dei grandi del nostro passato.

Allora torneranno di nuovo politici capaci di anteporre l’interesse pubblico a quello privato, burocrati capaci di porsi al servizio, cittadini consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri: insomma uno stato ordinato, coerente e consapevole.

In una condizione del genere non solo gli Italiani non vorranno più lasciare l’Italia, ma a nessuno sarà consentito di fare man bassa delle nostre risorse e casi come l’ILVA e l’Alitalia si risolverebbero velocemente ponendo al primo posto l’interesse nazionale.

Non è un sogno, ma una possibilità concreta: costruiamola!

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