Il grano della bellezza

 

Il grano della bellezza

[In foto: Raffaello Sanzio, La Madonna Sistina, olio su tela, 1513-16]

Il compimorte impazza in memoria finis vitae di artisti, il 2019 ci regalò le celebrazioni galliche dei 500 anni della dipartita di Leonardo nello chȃteau d’Amboise (era il 2 maggio), il 2020 è il turno di Raffaello Santi (Sanzio) che affrontò lo Stige il 6 aprile 1520, il venerdì santo pare abbia segnato lo schiudersi e l’appassire del pittore della grazia.

La paleopatologia ha indagato sulle cause dei loro rispettivi decessi, arrivando a zero conclusioni di “evidenza scientifica”, resta possibile l’ictus per l’anziano vinciano, mentre il divin pittore fu arso dalla febbre d’amore come riportava malizioso Giorgio Vasari nelle sue Vite: ”continuò fuor di modo i piaceri amorosi, onde avvenne ch’una volta fra l’altre disordinò più del solito[…]”., deinde per vizi della carne si ritrovò sulla barca di Caronte, ma la vera diagnosi resterà un mistero.

Mezzo millennio dopo quel tramonto i primi due piani delle scuderie del Quirinale si aprivano al pubblico per distribuire piacere alla vista e all’intelletto con un ricco omaggio all’opera del trentasettenne magister rinascimentale. Ma il caso o la mala sorte si sono accaniti sull’evento, ancora  una febbre assai poco romantica ma epidemica ha chiuso le porte al suo ricordo, la bellezza è rimasta prigioniera nelle stanze ristrutturate dall’arch. Gae Aulenti, com’a dire spighe dorate chiuse in un granaio prezioso con i Dioscuri a far da guardia perché il coronavirus non entri.

Una mostra pensata gigante per numero di opere di mano dell’artista (oltre 100) provenienti da diverse Gallerie nazionali ed estere, tutte invitate al grand gala d’apertura del 3 marzo. Tre giorni per i pochi fortunati a roteare gli occhi poi la chiusura in obbedienza a uno dei tanti nebbiosi decreti Conte, Raffaello superstar andrà online, tesori nascosti svelati dal telecomando.

Nel romanzo I demoni F. Dostoevskij mette sulla bocca di V. Stavrogin, se ben ricordo, questa riflessione: “E io dichiaro che Shakespeare e Raffaello stanno al disopra dell’affrancamento dei contadini, al disopra del nazionalismo, al disopra del socialismo, al disopra della giovane generazione, al disopra della chimica, al disopra di quasi tutto il genere umano, perché sono già… il frutto più sublime che mai si possa avere! Sono una forma di bellezza già raggiunta, senza la quale io, forse, non accetterei neanche di vivere […], gente limitata, che cosa vi manca per poter capire? Ma lo sapete… che senza gli inglesi l’umanità può ancora vivere, senza la Germania può vivere, senza i russi può vivere…, senza la scienza può vivere, senza pane può vivere, ma senza la bellezza no, perché allora non avrà assolutamente nulla da fare al mondo! Tutto il segreto è qui, tutta la storia è qui! La scienza stessa non si reggerà neanche un minuto senza la bellezza […].

La bellezza, per Dostoevskij, era l’ideale supremo, l’imperativo di scopo della vita, una fune tesa tra due abissi, il male sotto i piedi e il bene volgendo l’animo ai cieli, la bellezza è mistero dell’anima mundi generatrice dell’universo, “seme celeste, pianta del giardino di Dio sulla terra” sommo ideale presente nel cuore degli uomini “in nome del quale tutti dovrebbero abbracciarsi e mettersi ad agire per raggiungerla”.

Ecco Raffaello ci ha trasmesso immagini e colori del potere salvifico e ontologico della bellezza così com’essa si manifesta nell’armonia della natura, epifania di grazia divina che prende forma umana, si impasta nelle terre, campisce lo spazio dell’indicibile seguendo lo spartito di melodie al termine della cui esecuzione commentava soddisfatto il Signore “vide che era cosa buona e giusta” cioè bella.

C’è un seme nella terra del nostro popolo moltiplicatosi nel tempo rigoglioso di spighe di bellezza unica, inarrivabile capace di renderci partecipi di un ideale sublime dando concretezza a quell’immagine e somiglianza con Dio, trasformando un intero Paese nella riuscita ricerca di questo obiettivo, fosse un vaso di gerani al balcone o la cupola di S. Maria del Fiore a Firenze.

Chiusi nelle nostre prigioni, quasi soffocati dalla gramigna del nihilismo diffuso di una società che per genoma non ci appartiene, possiamo tornare a creare bellezza cogliendone i germogli anche nelle scuderie del Quirinale dove Raffaello in silenzio ci aspetta con la mascherina sulla bocca ma non certo sugli occhi.

Dinanzi alla grande tela della Madonna Sistina, un’icona per Dostoevskij, Puskin, Bulgakov, Florenskij, lo storico dell’arte J.J. Winckelmann ebbe a scrivere:” “E’ piena d’innocenza e al tempo stesso di grandezza più che femminile, in una beata e quieta postura; quella calma che gli antichi facevano regnare nelle immagini delle loro divinità […] Il bambino nelle sue braccia è al di sopra dei bambini comuni, per un suo sguardo dal quale, attraverso l’innocenza dell’infanzia, si sprigiona un raggio della divinità” ,un raggio non da poco nel buio del presente.

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