Abbiamo un grosso problema. Si chiama “mito democratico”. Cosa sia questa democrazia, in realtà, è una delle domande più difficili da porre alla modernità. “Democrazia”, come tutte le forme di governo di matrice aristotelica, è una parola che dinnanzi la crescente complessità dello scenario storico attuale risulta asfittica e finanche incomprensibile; o meglio, non riesce a esaurire sinteticamente la realtà.
La si declama impropriamente come terminologicamente sufficiente, ed è un errore. Altro conto è se si tratta della moderna democrazia rappresentativa. In tal caso le coordinate sono più precise e definitorie: è moderna, perché con buona pace di coloro che la pensano esistente già nell’antichità, è il frutto della filosofia politica contrattualista e giusnaturalista del XVII sec.; è rappresentativa perché si basa su una finzione politica estremamente raffinata chiamata “rappresentanza della volontà generale”.
La democrazia rappresentativa è teoricamente il sistema di governo intellettualmente più complesso, raffinato e delicato che sia mai stato partorito dalla razionalità umana. Questo perché pone le condizioni della sua esistenza esternamente alla sua pratica politica (che è la tecnica parlamentare): ossia sulla sussitenza di condizioni sociali successive alla sua instaurazione, e quindi ideologicamente poste e praticamente perseguite, quali la libertà e l’uguaglianza. Mettendo da parte la drammaticità del fatto di non sapere, a sua volta, cosa queste ultime due parole significhino esattamente, la moderna democrazia rappresentativa è tanto più sofisticata e meritoria di simili aggettivazioni perché è l’unica forma di governo che accetta la dialettica fra le forze, l’attitudine a generare conflitti.
La moderna democrazia rappresentativa ha catalizzato le contrapposizioni e le ha riconvertite in energia propulsiva per la macchina dello Stato moderno. E’ interpretabile alla stregua di un’azione razionalizzante della conflittualità effettuata da quel processo, identificato da Max Weber, di “razionalizzazione crescente” della società umana. Liste di proscrizione, notti di San Bartolomeo, purghe ed epurazioni cedono il posto al ricambio pacifico e ordinato dei vertici politici tramite lo strumento delle elezioni e la garanzia legittimante della legalità formale offerta dal diritto positivo. Si tratta, nientemeno, del passaggio dallo stato polemico allo stato agonale (Julien Freund).
Questo è certamente il dato pratico reale e apprezzabile. Ma qui inizia il problema del mito. Ossia quello secondo cui la moderna democrazia rappresentativa avrebbe fondato, lei sola, la degnità dello scontro dialettico tra le forze politiche e sociali e, sempre e solo lei, l’etica politica del rispetto dell’altrui opinione. Questo mito genera un’ombra mostruosa che inghiotte famelicamente tutta la storia del mondo fino al 1789 per etichettarlo come non etico, e non etico solo in quanto pretestuosamente “non libero”.
L’inganno è mefistofelico, poiché, perfettamente inquadrata nell’idea sacerdotale di “progresso” illuministico, la moderna democrazia rappresentativa risulterebbe l’esperienza politica apicale e dignificante massimamente tutto l’esistente. Tale mito asserve uno scopo e serve a dogmatizzare l’irrefutabilità ideologica di questa democrazia come insuperabile e sacra. Ma questa narrazione è dogmatica e formale tanto quanto viene denunciato esserlo stato il diritto divino. La moderna democrazia rappresentativa non è stata l’istitutrice di alcuna degnità dello scontro dialettico, è semmai stata la scaltra ideatrice di una metodologia razionale dello scontro, come lo fu il diritto internazionale dopo interminabili spargimenti di sangue all’alba del 1648.
Ad essere vero e misurabile non è il mito democratico, ma il weberiano processo di razionalizzazione, per cui le forze umane di ogni epoca e ogni esperienza politica hanno trovato sempre più il dove e il come per effettuare il processo decisionale. Si ritorni a leggere di cosa parlava Schumpeter quando scriveva di “democrazia procedurale”, ci si accorgerà che la storia continua inesorabile la sua corsa.