La signora avrà 80 anni e…
e non lava mai per terra,
spegne cicche sul pavimento
con le pantofole da infermiera,
sopra i muri delle stanze
scrive col rossetto
numeri di telefoni e aforismi estemporanei che le case editrici
non avranno mai….
( da nostra Signora dei Navigli di Simone Cristicchi)
“Salviamo Casa Merini” era l’appello d’ un gruppo spontaneo lanciato su fb con la febbre a 40 per salvare dalla ristrutturazione il nido in affitto della “poetessa dei navigli”, Alda Merini, in via Ripa Ticinese,47. Nisba la casa è volata via sul naviglio grande in via Magolfa, 32, trasportata dagli angeli come quella di Maria, quella autentica ha subito il previsto trasloco con seguente restyling, lasciando però intatto, per un anno, il “muro degli angeli”, questione di sensibilità o pressing alto dei devoti dell’autrice di Terra santa. Chi l’avrebbe detto che a darle ospitalità sarebbe stata la tabaccheria comunale dove lei comprava le sue Diana rosse, fumatrice “turca” avvolta da nuvole bluastre quando s’immergeva nel lago dell’anima ad ascoltare, in silenzio, il bisbiglio dell’universo riportato a riva in versi. Quella boccia lanciata fece strike, apriva i battenti il Museo Alda Merini nel 2012, “il muro degli angeli”, con sapiente perizia, veniva asportato via a tasselli salvandolo dall’incuria, dalla stupida brutalità del piccone. Su quell’intonaco poggiava la testata del letto della “piccola ape furibonda”, un muro di graffiti, zeppo di nomi coi numeri telefonici tracciati col rossetto, vi campeggiavano autoritratti a fumetto, in uno il balloon lei dice “Amo la sporcizia…/la amo/la desidero/la bramo”, poi ci son quelli di Alda con don Chiodo, lo schizzo rapido d’un ritratto, appunti, aforismi, cifre, un’insalata primavera, fresca, girata di continuo pel bisogno di fissare hic et nunc qualcuno, qualcosa, senza dover sfogliare la margherita in vile pelle delle rubriche.
Non avevano ali bianche quegli angeli ma i loro nomi, con l’immancabile recapito di cellulare, vegliavano come angeli custodi sul letto della poesia quando gettato a terra l’ultimo mozzicone, l’Erinna ambrosiana si lasciava nelle braccia del sonno incontrando il malefico spirito degli incubi.
Meneghina del ’31, nelle risaie di Vercelli per le infami bombe inglesi su Milano, nuda senza casa con la sua famiglia, quindicenne vede il suo esordio di poetessa, titolo di studio: l’avviamento professionale (!), a 18 anni sposa un muratore tutt’altro che poeta, trent’anni di matrimonio e 4 figlie andate in affidi familiari perché lei è di casa nell’Ade del manicomio. Il successo con qualche soldino arriveranno tardi, negli anni ’80, allora esplose la sua poetica dei reietti, gli emarginati da una cultura ipocrita borghese. In un’intervista ebbe a confessare: “Io sono nata sotto i tempi del Duce, sono stata derubata, saccheggiata, violentata moralmente, nessuno ha detto: can crepa. No, col Duce questo non era possibile, anche se poi ha sbagliato anche lui”. Ci sovviene “La sala delle agitate “ di Telemaco Signorini, donne nelle gabbie della follia, deserte di speranza, curaro e elettroshock per stendere a tappeto fantasmi, ribellioni delle diverse; furono anni, tanti, a spegnere la voce di Euterpe.
Il suo pensiero forte era cercar parole, immagini nell’abisso dell’amore quello che lei non aveva ricevuto ma dato senza sfinimento, nonostante due matrimoni, ma è vocazione del poeta amare senza voler essere amato. D’altronde aedi e folli, diceva, sono i parafulmini dell’umanità, scaricano a terra l’energia terribile del cosmo offrendo agli altri, per conduttore, la propria carne, sono gli angeli del mondo, le farfalle che invitano gli elefanti a volare, basta chiudersi nell’aura del silenzio, ascoltare, rammentandosi però che le farfalle non vanno spolverate.
Quel muro della camera da letto è stato ricostruito nel Museo, ma quattro visitatori in media a settimana erano un flop, così il Comune della Madunina pensò di chiudere i ricordi, tra l’altro, composti alla rinfusa. Nuove sollevazioni di protesta e lo spazio Alda Merini nella Casa delle Artiste riaprì le porte grazie a un gruppo di volontari, però all’intonaco manca uno spicchio preso all’asta, nel 2016. da un architetto lodigiano, quel tassello con un nome e un telefono, pare un frammento caduto da una Pompei contemporanea, aspetta d’essere rimesso al suo posto, anche quello è la firma di un angelo.