Il secolo breve


 

Il secolo breve

Viviamo, utilizzando l’immagine tratta da La memoria bruciata di Mario Castellacci (per chi non ebbe l’occasione e la fortuna di conoscerlo, era l’autore de La canzone strafottente, considerata da Giorgio Bocca ‘la più bella canzone della guerra civile’, più nota con l’inizio dei versi ‘Le donne non ci vogliono più bene…’), ove su ogni cosa aleggia il colore grigio della vergogna. Cappa oscena e mefitica.

Nella stagione in cui gli iconoclasti impazzano abbattendo statue e simboli raffiguranti il passato, ma non si erigono in strada barricate per rendere i sogni e gli ideali futura e concreta realtà; ove ci si inginocchia e non si rimane eretti, magari legati al palo dei condannati a morte, con l’audacia di aver tentato faccia al sole e in culo al mondo. E, allora, mi sento – e ne sono grato – di appartenere al secolo che è trascorso, quel Novecento, inquieto (come intitolammo Rodolfo ed io un libro edito nel 2004), che fu definito, con felice e ipocrita sintesi, ‘il secolo breve’ (forse perché l’autore, per non irritare la cultura dominante, tralasciò di ricordare errori ed orrori del comunismo).                      

Mi viene a mente un frammento del poeta greco Agatone – reso celebre da Platone perché nella sua abitazione egli vi colloca lo svolgimento del Simposio, dialogo forse il più intrigante e fascinoso – in cui ammoniva come neppure agli dei fosse concesso negare il passato. Il che – rifletto – possiede una sorta di retrogusto dell’ottimismo, nella fiducia della coincidenza tra l’essere e la parola che l’esprimeva, mentre oggi abbiamo constatato come, appunto nell’età dell’eclissi e dell’oblio, conta solo se lo si nomina e quell’essere reso mero accidente, se e soltanto proponendolo e dando ad esso un giudizio, diviene qualcosa… di vero e indiscutibile. Una pallida ombra di sé medesimo. Rifletto. Ricordo.

Martin Heidegger traduceva il termine ‘nostalgia’ e a indicare quel tornare a casa con dolore. Sebbene i libri i più e i migliori li abbia scritti all’inizio di questo Terzo Millennio e abbia preso atto che Aristotele avesse definito la vecchiaia il primo male dell’uomo, rendendoti però – mi difendo – più accorto e più saggio, mi volgo al Novecento e non con dolore perché quella dimora fu forse sì razziata da predoni voraci e catastrofi immani, violate le giovani donne, trascinati in esilio i vecchi e i bambini, resi schiavi i suoi uomini, ma fu dimora ricca di fierezza e di speranza, di fuoco ardito e sfavillante nella mente e nel cuore. Bastoni e barricate, mi piace scrivere sovente. Ed io vi appartengo con i suoi sogni e illusioni e inganni e ne sono grato perché, nonostante le sbarre alla finestra e il chiavistello alla porta, mi ha donato la libertà d’essere in cammino d’essere contro… anche in questo presente nella pandemia dello spirito e nella pantomima della carne delle ossa del sangue…

 

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