Il Virus del buonismo, oltre il Covid-19

 

Il Virus del buonismo, oltre il Covid-19

Nella crisi politica, economica, sociale che ora è divenuta anche sanitaria, il movimento perpetuo dell’Ovest assomiglia a un moto caotico attorno a un vuoto. Guardandoci intorno è impossibile non rilevare il collasso della cultura, la perdita della tradizione, il trionfo della mediocrità. Ci troviamo in una sorta di deja vu 2.0 del mondo preconizzato da Spengler nel quale la fede illuministica nel progresso stava andando a pezzi e una guerra mondiale catastrofica – per i vinti e per i vincitori – aveva fatto esplodere l’edificio dell’ordine europeo e mondiale.

Un tramonto generato dal primato dell’economia sulla politica che rivela un “inverno della civiltà” annunciato dal trionfo dell’Io e ciò che ha portato il Moloch graniticamente difeso da ogni critica che è stata ed è la “globalizzazione”: il Leviatano che nessuno poteva contestare se non venendo tacciato di fascismo (prima) di nazionalismo (poi) e di sovranismo (oggi); il Baal che ha operato una recisione netta delle radici culturali europee e generato un’escalation di pazzie che ci hanno portato a non essere più un Paese, ma “una zona rossa” grazie agli hashtag e ai selfie veicolati dai “soliti noti”, all’abbrivio della diffusione del Covid-19. Iniziative volte a colpire le voci preoccupate che si ergevano contro l’ortodossia buonista del politicamente corretto, dei porti aperti, degli ius soli, della propaganda gender, degli “aperitivi solidali” che ci hanno portato, in una manciata di giorni, a quello che nessun regime era riuscito a fare in decenni. Grazie a loro ci siamo trovati privati delle libertà più elementari come quelle di votare, di usare i nostri soldi, di frequentare scuole ed università. Scippati, insomma, dei servizi essenziali e di ogni cerimonia, perfino di un decente funerale: di ogni cosa che rende la vita bella e amabile.

Il tutto perché si è sottovalutato il reale pericolo della minaccia invisibile sacrificandolo sull’altare della vergogna di noi stessi e dei nostri valori. Siamo stati vittime, prima che del coronavirus, di una regressione che ha assunto il volto del politicamente corretto che si nutre di buonismo e osteggia il buonsenso per retorica credendo di far bene e facendo invece spesso il male, negando con i suoi comportamenti gli ideali che crede di affermare. Hanno preferito esporre tutti ad una pandemia per non correre il rischio di far passare delle politiche di contenimento sanitarie per razziste e ci siamo trovati a dover subire provvedimenti che mai erano stati presi, né tra gli anni delle due guerre mondiali, né in quelli della “strategia della tensione” o in quelli “di piombo”.

E’ il frutto del pensiero unico progressista, femminista, globalista, migrazionista, omosessualista, che si sta imponendo contro la coscienza morale e l’intelligenza veicolando una nuova e aberrante tavola dei valori, dove il male diventa bene, il falso diventa vero, il brutto diventa bello, e viceversa.

Così l’Occidente tramonta quando una giudice tedesca assolve un turco musulmano che aveva stuprato una donna, perché quell’azione rientrava nella sua cultura, quando in Danimarca le autorità censurano i libri di testo per non offendere scolari di altre fedi; quando le donne, sotto la spinta del femminismo sono state caricate di un triplo fardello (lavoro, casa, figli) e vengono aggredite o nella cosa più preziosa, la loro femminilità.

La sensazione è che il Covid-19 (al quale, segnatevelo, seguirà il Covid-20, il Covid-21 e così via…) abbia incarnato – palesandola – la minaccia invisibile ma tangibile di un perbenismo controproducente snaturante la democrazia in democratismo. Gli altri ci hanno attaccato in virtù di un buonismo che, in realtà, era solo viltà travestita da mentalità aperta ed evoluta. Ci duole dirlo, in un certo senso: avevamo ragione noi, ieri come oggi.

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