“Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede […] Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini” questo scriveva S. Paolo nella prima letterata ai Corinzi.
Ascoltiamo attentamente l’omelia di Papa Francesco letta durante la celebrazione della messa nella notte di Natale (anticipata in ossequio al coprifuoco contiano) nella Basilica pietrina, osservando anche la barocca scenografia del rito, il bambinello, Parvulus enim natus est nobis (Is 9,5),il figlio che ci è stato donato, vede in alto incombere se stesso, adulto, Crocifisso, la gioia d’una nascita, la morte, senza alcun simbolo, rimando al fulcro vitale del credo cristiano: la risurrezione.
Parentesi iconografica divergente, un giovane studente realizzò tempo addietro un Cristo risorto a cavallo della croce vuota, donando questa sua piccola opera al santuario romano del Divino Amore, io ne conservo copia, l’osservo e mi germoglia la speranza.
Continua l’ascolto su quel figlio donato all’umanità, sull’amore samaritano di Dio nel sorreggerci nello sconforto, nei fallimenti, sulla vacuità del successo e degli idoli mondani, sul bisogno di aiutare i poveri, gli emarginati per sollevarli alla piena dignità umana, ma la parola risurrezione non entra a scaldare i cuori dei milioni di uditori, resta chiusa nella formula liturgica del credo.
C’è tutta un’agiografia,anche francescana, finalizzata a promuovere la pietas verso un bimbo nato in una stalla, deposto sul fieno della mangiatoia, uno “scartato” dai contemporanei, non c’è posto per la sua famiglia negli alberghi e nelle case mentre per Maria s’erano compiuti i giorni.
Pietas umana su, su, fino al processo farsa davanti al “democristiano” Pilato, frustate, scherno, spine sul capo, e poi il Calvario, issato su una croce, derubato delle vesti, è il Cristo martoriato di M. Grünewald, o quello di Mel Gibson nella Passione, fino a quel grido raccolto prima dell’ultimo espiro Eli, Eli, lammà, sabactani, fine.
Si era spento un profeta, il penultimo per i mussulmani, oppure un impostore come sosteneva il Sinedrio, oppure ancora un Giordano Bruno eretico della fede mosaica, della Legge trascritta nel Talmud, o un filantropo predicatore di una rivoluzione sociale, un Comandante senza basco e fucile ma pur sempre un grande rivoluzionario.
Anche i due malfattori furono crocifissi, morirono con le gambe spezzate, colpevoli certo ma uomini trafitti nella carne, nelle ossa, rigidi simulacri di vite deviate, condannati dalla stessa Legge, che differenza c’è alla fine tra loro e quel Gesù di Nazareth spirato all’ora nona.
Quel figlio che ci è stato gratuitamente donato è venuto al mondo ad annunciare la salvezza, da che cosa? Dalla povertà, dalla sofferenza, dall’odiosa discriminazione razziale, dal cannibalismo ambientale, da cosa? E’ oltre l’ultima soglia la salvezza annunziata, dall’abisso della morte, nostro nemico invincibile, ombra che sempre ci accompagna, presenza inquietante senza respiro né volto, sorella gemella della vita, non essere opposto all’essere, all’uovo cosmico della cosmogonia brahmano-induista.
Obietta il mondo: abbiamo chiuso gli occhi di nostro padre, di nostra madre, dei nostri cari né più abbiamo udito il loro respiro, avvertito il profumo, percepito la loro immagine se non vuota che colmiamo di ricordi sempre più diafani con l’allontanarsi del tempo.
Non conosciamo il Regno dei cieli, nessuno l’ ha mai visto, non incontriamo anime per strada, nulla sappiamo dei novissimi post mortem, allora ci immergiamo nell’unica realtà tangibile che ci è data di conoscere e vivere, tirando fuori il divino in quanto ci circonda e rifiutando la trascendenza sopra sensibile. Restiamo sdraiati sulla nostra terra di Canaan, attaccati ad essa cercando di costruire una comunità di giusti, dove non ci siano “scarti”, poveri, rifiutati, oppressi, discriminati perseguendo un umanesimo universale trasversale a religioni, filosofie, sistemi politici ed economici, un grande frullato dolciastro.
Il fervore della “teologia moderna” s’incardina e si esaurisce nei bisogni del mondo, nelle mense per i diseredati, nelle case per i tossici, nell’essere chiesa di strada, nell’accoglienza degli immigrati, inseguendo il mondo aggrappati alle sue misere contraddizioni, dandosi da fare per ammonire e cucire gli strappi. Il Verbo è agire senza distrarsi con l’antiquata apologetica del soprannaturale, l’Aristotele di Raffaello volge il palmo alla terra, l’indagine sull’esistente è il metodo dell’immanenza per cogliere la conoscenza, Platone invece volge l’indice in alto verso il mondo della trascendenza ma oggi ci appare un vecchio Leonardo bizzarro e solitario.
Questa insistenza continua, monocorde, ripetitiva su temi filantropici assai cari ai teologi delle chiese riformate si spiega con il “metodo dell’immanenza” già postulato da Maurice Blondel a fine Ottocento, per cui il soprannaturale non vive di vita propria esternamente al soggetto ma la verità della religione rivelata, Dio stesso vanno ricercati nei bisogni e nelle aspirazioni (diritti) delle coscienze umane, necessità e aneliti, là si trova l’oro della sintesi tra natura e sopra natura e va fatta scaturire attraverso l’azione, le opere virtuose, impegno primario del cattolico minatore chiuso nella grotta.
E’ questo metodo dell’immanente, già presente in Kant, Spinoza, Pascal, a guidare il dire e il fare della Chiesa postconciliare così immersa nelle piaghe dell’uomo, nelle criticità dell’ambiente, nelle contraddizioni del capitalismo emarginante, contro ogni barriera nazionale, contro ogni cultura che non sia di totale accoglienza ed inclusione, la chiesa è global agganciata al treno del mondo per non avvertirsi sola.
Da questo nuovo metodo apologetico, condannato espressamente da Papa Pio X nell’Enciclica Pascendi del 1907, deriva anche la storicizzazione dei dogmi, al di là delle loro definizioni teologiche e conciliari, essi hanno un valore per quanto sanno comunicare all’uomo che li accoglie o meno sulla base della propria esperienza esistenziale di vita vissuta.
La risurrezione, scandalo per i pagani, nella nuova teologia si ferma alle necessità degli uomini e della terra, di ciò che non si conosce né si sperimenta meglio tacere o al massimo sussurrare, prendendo L. Wittgenstein a sostegno, però le chiese sono vuote e noi da commiserare.