In memoria di Giuseppe Galasso

 

In memoria di Giuseppe Galasso

Il 12 febbraio scorso è scomparso alla soglia dei 90 anni lo storico medioevale e moderno, maestro della storiografia, Giuseppe Galasso. Se eccellenti sono e sono destinati a rimanere, in una Università sempre più parcellizzata e settorializzata e sempre più asservita alle teorie, alle elucubrazioni e alle visioni straniere, i suoi saggi di storia medioevale e moderna fino alla risorgimentale, le opinioni e le affermazioni del Maestro si palesano discutibili, fragili, faziose e partigiane sull’attualità e per l’attualità.

Interessa rilevare comunque la sua aperta ed illimitata sconfessioni per il revival neoborbonico, infondato ed agitato da correnti politiche sconclusionate quanto arroganti quanto di meschine prospettive, antitetiche alla nobiltà morale di Silvio Vitale e di Carlo Alianello.

Il cattedratico partenopeo aveva ripreso, trasformandola in un bimestrale, la testata “L’Acropoli”, diretta a suo tempo dallo storico azionista Adolfo Omodeo, Nella rivista, edita da Rubbettino, ha pubblicato un editoriale, apparso purtroppo postumo, dedicato alla consultazione del 4 marzo, in maniera condizionante posseduto dal “gusto della polemica politica”. Galasso apre, segnalando la prossimità dei 70 anni dalle elezioni del 18 aprile 1948, alle quali attribuisce il “record”, invece inesistente, della più forte percentuale dei votanti nella storia elettorale. In realtà nella prima occasione, quella considerata da Galasso, si recò alle urne il 92,23%, mentre 5 anni più tardi si mosse per esprimersi sul progetto Scelba,  più democratico del “Rosatellum” il 93,84% (+1,60%).

Galasso guarda al quadro attuale senza arrivare, per fedeltà alla sua tradizione repubblicana, a giudicare in termini efficaci e centrati le preoccupazioni di fronte dell’allora dilagante comunismo. Sono stati i partiti ispiratori della Carta costituzionale, che trovano nei nostri giorni un modello in Mattarella, a vilipendere e a calpestare i valori sostenuti e difesi nel 1948 e nel 1953.  

Il professore rimprovera poi all’area berlusconiana, cui viene imposta l’indesiderata etichetta di “destra” e alla sinistra di non essere mai riuscite “a rendere stabile e naturale e congeniale il regime dell’alternanza, perché qualsiasi parte ha rifiutato il ruolo di minoranza capace di trasformarsi.

Dopo aver attribuito discutibili quanto indimostrabili meriti ai governi Renzi e Gentiloni senza legarli alla condizionante mutata situazione internazionale, Galasso pare porsi come fautore della “grande intesa”, da lui considerata  “stabilizzazione duratura e positiva della condizione del Paese nell’attività di governo, nell’attività legislativa, nell’attività amministrativa”. Quale utopia! Quale sogno!

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