O Russia, paese dal destino non facile
Per me, Russia, sei come il cuore, unica
lo dirò a tutti, all’amico e al nemico,
senza di te è come senza il cuore, non si può vivere.
(Julija Drunina )
Dichiarazione d’amore in versi di una poetessa combattente, infermiera in armi a difesa della sua patria naturale Mosca ma soprattutto della patria civitatis (distinguerebbe Cicerone) la grande madre Russia, un amore inclusivo del primo, dal granello di grano lo sguardo del cuore abbraccia tutto il campo di spighe. Il patriottismo della Russia ci schiaffeggia con questo guanto di sfida, rinnova il duello tra A. Pushkin e il francese G. d’Anthès e non è detto stavolta che il primo cada ai piedi de l’ Occidente presuntuoso, rivestito di glassa iperliberista cotta nel pensiero unico così com’ebbe a coniarlo Ignacio Ramonet nel ‘95 su “Le Monde diplomatique”: “È la trasposizione in termini ideologici, che si pretendono universali, degli interessi di un insieme di forze economiche, e specificamente di quelle del capitale internazionale.” Quale l’affronto della Russia putiniana alla frigia Marianna di libertè, egalitè, fraternité, finite nel cesto della ghigliottina, se non il mancato rispetto della democrazia, ma non quella ideale del furbo Pericle, bensì quella scolpita sulle Black Hills (cime sacre ai Lakota), quei quattro testoni di pietra modellati da Gutzon Borglum con l’aiutino d’un italiano; è la democrazia del benessere dove l’economia fagocita il frullato omogeneizzato d’ ogni distinzione in nome della fame di guadagno/successo.
Questa evoluzione del corpo, vuoto d’anima, persegue un canone comune, orizzontale, di pensiero utile mantice alle leggi del mercato, ancor più a quelle parassito-usuraie della finanza, è l’inevitabile estuario d’ ogni goccia d’acqua (i noi) nell’oceano piatto dipinto senza increspature sposando l’aforisma TINA (There Is Not Alternative) che fu di Margaret Thatcher tradotto in “Es gibt keine Alternativen” dal Cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder. Le montagne sono crollate, le colline sono state spianate, la pianura sconfinata è l’unico skyline visto dalla quotidiana cessione di sovranità, in primis quella personale, poi di comunità via via sempre più estese e virtuali, un’onda lunga che cancella i castelli di sabbia di uomini e bambini, lasciando sulla sabbia alghe e conchiglie vuote.
C’è un cancello del drago alla Gaudì, in ferro forgiato a caldo d’ antica fattura, sostituisce il più economico ”attenti al cane” a salvaguardia di virtù, valori, tradizioni disseminati nella casa dei conservatori, ringhiosi Yorkshire aggrappati ai calzoni senza affondare nei polpacci di banchieri, strozzini, macellai, attori in cerca di un autore per saltare da dietro le quinte sulla predella del cocchio e correre al gran ballo delle matricole al potere, saranno inchini reverenti, salamelecchi, conditi da qualche ma, se, però, si parlerà del tempo, degli immigrati, della solerzia nei vaccini, senza toccare la brace che scotta, l’aborto, la famiglia, la Patria, le sue radici cristiane.
Già la, Patria è un inciampo, una barriera architettonica, montagna troppo ardua da salire, millenarie pareti guardiane di valli, silenzi nevosi, fumigare di case, scorrendo fin giù, giù, dove il mare cintura la terra, la Patria è il maniero comune costruito da generazioni superando lingue, costumi, usanze differenti, anzi mettendole nello scrigno perché gioielli di fatture distinte lo rendano più ricco, luminoso.
Dio, Patria, Famiglia sono i pilastri della riforma costituzionale voluta da Vladimir Putin e approvata lo scorso anno dalla Duma, una rivoluzione autentica dell’orso contro l’Occidente chiuso nel favo dolce di api senza cielo, dice la vecchia cagna sdentata che il presidente russo è un tiranno, “assassino” dell’opposizione, dedito al culto della persona, uno zar despota senza trono e scettro con una”dacia” da mille e una notte, perciò sanzioni e l’asinello americano lo attacca ragliandogli “sei un killer” e tutto il gregge NATO addosso.
L’odio monta la panna dei media scendiletto verso l’ex tenente colonnello del KGB, la democrazia russa è una farsa, lo sottoscrivono autority internazionali misuratrici degli indici di rispetto dei diritti umani sulla base degli indicatori del pensiero unico, quello mollo come gli orologi di Dalì.
Quella trilogia ora presente nella riformata Costituzione russa ma anche in quella ungherese, fa storcere di brutto il naso adunco dei media progressisti, è roba vecchia, superata, medioevo prima che Kant accendesse “i lumi”, Comte il positivismo e a Vienna rifondassero il Circolo decò del trenino scientista.
Così tra italiche spie corrotte, prigioni dissenzienti, veleni, vaccini rifiutati, ecc. l’Occidente si rifà il trucco democratico sputando sentenze a Oriente, la matta Europa sbraita senza più denti, non è una Patria né lo sarà mai, prostituisce le sue grazie al botulino in forma sparsa e sotterranea bisticciando tra consorelle al mercato delle vacche, giocando a rubamazzo persino sui vaccini.
La riflessione di Martin Heidegger su un Occidente colpito dall’Alzheimer, dall’assenza di memoria di una Patria civitatis, si è maturata con la cova della gallina dalle uova d’oro, la tecnica con tutte le sue applicazioni, da l’ipod all’alta finanza, dall’auto al videogame, producendo un nomadismo surreale degli appetiti attorno alla tavola sempre imbandita di nuove leccornie, golosità di un benessere volatile già vecchio dopo un minuto.
Il buon Cicerone oggi sceglierebbe S. Pietroburgo ove poter ribadire che “fra tutti i legami nessuno è più gradito, nessuno è più caro di quello che si ha con la propria Patria. Infatti ad ognuno di noi sono cari i genitori, i figli, i parenti e i familiari, ma la patria col suo amore abbraccia le parentele di tutti; e per essa quale uomo giusto esiterà ad affrontare la morte, se potrà giovarle?”