In riva al lago

 

In riva al lago

In questi giorni, ove la calura t’impone ancor più essere prigioniero in casa, solo la mente conosce il liberarsi nello spazio ardito di memoria e lontananze – quel volare di cui cantava Lucio Battisti in Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi. (E Lele, allora un bimbetto ne imparò il ritmo, mugolandolo forse prima d’apprendere parole di senso compiuto e ripeterle). La memoria, scrigno di ricordi. Così il tratto di strada che mi impongo percorrere ogni mattina cercando zone d’ombra e appoggio al bastone si rende e al ritorno rimanda ai tanti luoghi a me cari e di cui ho spinto il passo in cerca di amori avventure nostalgia di tempi eroici o soltanto d’abbattere il quotidiano e la noia del sempre uguale. Basta chiudere gli occhi e lasciarsi andare.

(Nel 2006, poi, ne feci immagini scritte in Strade d’Europa, con l’amico Rodolfo che le introduceva in storie e mito. E la Compagnia dell’Anello, intanto, ne aveva tratto una canzone certo di maggiore successo – meritato – e richiamo forte alla poesia. Perché un verso è l’eco di sentimenti, visioni, rimandi).

Ecco: la riva del lago, dopo aver bevuto troppa birra, in cui rispecchiare l’immagine inquieta, i capelli lunghi, la barba incolta e tu, non ricordo il nome e da quale parte di questa nostra Europa provenissi, che silente stendevi il sacco a pelo accanto al mio. Ci sfiorammo le labbra sotto un tripudio di stelle. Null’altro fra noi. Ricordo, però, la storia antica e bella che mi donasti ed io, ora, la riscrivo con mie parole per te, lettore anonimo, e farne condivisione.

Nel tempo del lupo e dell’ascia, del bosco e della fonte. Pochi sono i guerrieri, i soli sopravvissuti alla sconfitta là nella pianura. Il loro signore giace, la gola squarciata e il vessillo a terra disfatto. Si sono, essi, i soli, rifugiati fra gli alberi della foresta e le sue ombre secolari. Nella fuga, la salvezza. Passare al bosco… no, nella fuga c’è solo il disonore. È il più anziano fra loro a fermarli. Con i suoi capelli bianchi, sul volto e le braccia le cicatrici, ha il suo dire autorevolezza sacra. Egli e la sua voce. Il loro signore è caduto in battaglia, certo, ma non si scioglie il giuramento di fedeltà. Egli è morto, il giuramento permane. E non occorre ulteriore sollecitazione. Si volgono e salda la spada e lo scudo e l’arco e le frecce lo sguardo fiero e il portamento. No, tu, no. Tu devi restare. Raggiungere poi il villaggio e raccontare ciò che hai visto. Tu che sei l’unico a saper mettere le parole in verso. Così il nostro sacrificio, il dovere che s‘impone, non resterà vano. Parla ancora il guerriero, fissando severo e commosso il più giovane, il più esile, appoggiato alla lancia di frassino. suo figlio. E costui, pur temendo d’essere inteso vile, può solo obbedire. Vanno. Vanno verso il limitare del bosco, al sangue da versare, incontro al destino, che non ha indugio e li attende vorace. Nessuno di loro arretra si volge per un ultimo sguardo, un addio. E, mentre s’allontanano, appoggiato alla lancia di frassino, una lacrima scivola lungo la gota ma nella mente già va componendosi il primo verso…                                                                                           

Sulla riva del lago. Notte di stelle vento silenzio musica di immagini che si rendono in sentimento. Ovunque nasca la poesia là nascono le emozioni e si fanno dono di tutti e per tutti.

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