Intrent securi qui quaerunt vivere puri

 

Intrent securi qui quaerunt vivere puri

Come ogni settimana, prima di scrivere un articolo, vado a selezionare un argomento che in qualche modo abbia toccato le mie corde, le abbia fatte vibrare provocando, gioia, riflessione, o sempre più spesso rabbia e disgusto. Avevo 4 argomenti, in scaletta, che probabilmente riprenderò in scritti futuri. Le percosse delle forze dell’ordine alla giornalista di “PaeseRoma” Francesca Romana Cristicini, rea di aver cercato di documentare l’inaudita violenza dello stato, durante lo sgombero  del Circolo Futurista Casal Bertone di Roma. Le fiamme che a Rende, hanno avvolto il corpo di un giovane docente sospeso dal lavoro in quanto non si era prestato all’inoculazione di regime, che si è dato fuoco, moderno Jan Palach, in segno di protesta, davanti alla locale caserma dei carabinieri. L’imposizione subita da un delegittimato parlamento del Mattarella bis, o il Festival dell’unità di Sanremo. Durante l’elezione del capo dello stato, in dissenso rispetto alle indicazioni dei partiti, Vittorio Sgarbi, leader di “Rinascimento”, ha rivendicato di aver votato per Riccardo Muti, storico musicista e direttore d’orchestra. (Nessuna parentela con il segretario del Partito Nazionale Fascista Ettore Muti).

Riccardo Muti nasce a Napoli nel 1941 della napoletana Gilda Peli Sellitto e dal medico molfettese Domenico Muti. Fino all’età di 16 anni vive in Puglia, a Molfetta, dove frequenta il Liceo Classico statale “Leonardo da Vinci”. Poi si trasferisce a Napoli dove studia pianoforte con Vincenzo Vitale, conseguendo il diploma presso il Conservatorio di San Pietro a Majella. In seguito, si trasferisce a Milano, per studiare composizione con Bruno Bettinelli e direzione d’orchestra con Antonino Votto.

Esordisce nel 1967 al Teatro Coccia di Novara vincendo il Premio Cantelli per giovani direttori d’orchestra. Dal 1968 al 1980 è stato direttore del Maggio Musicale Fiorentino. Nel 1969 dirige la prima rappresentazione radiofonica nell’Auditorium RAI del Foro Italico di Roma de “I puritani” di Vincenzo Bellini con Luciano Pavarotti. Dal 1973 al 1982 è stato direttore principale della Philharmonia Orchestra di Londra. Con questa orchestra ha effettuato diverse registrazioni di opere italiane tra cui Aida di Giuseppe Verdi con Plácido Domingo, che ad oggi risulta essere uno dei dischi d’opera più venduti al mondo.

Dal 1980 al 1992 è stato direttore musicale dell’Orchestra di Filadelfia, che ha portato in diverse tournée internazionali.  Dal 1986 al 2005 Muti è stato anche direttore dell’Orchestra del Teatro alla Scala. Nel 2000 è stato chiamato a dirigere i Wiener Philharmoniker nel noto concerto di apertura del nuovo Millennio nella Großer Musikvereinsaal di Vienna. Nel febbraio 2008 vince due Grammy Award (Best Classical Album e Best Choral Performance) con l’album Missa Solemnis in Mi di Luigi Cherubini con Orchestra Sinfonica della Radio Bavarese inciso per la EMI. Nell’agosto del 2009  il sindaco di Roma Gianni Alemanno, gli offre la direzione musicale del teatro capitolino. Abbandonò l’Opera di Roma in contrapposizione con il sindacato del musicisti. Nella resa di Muti c’era la sofferenza di un’artista che, per salvare la dignità del proprio talento, fa un passo indietro e insieme lancia una denuncia: non posso fare eccellenza, e allora mi arrendo. Il 13 febbraio 2011, in qualità di direttore della Chicago Symphony Orchestra, vince altri due Grammy Award nelle categorie Best Classical Album e Best Choral Performance per la registrazione del Requiem di Verdi con Barbara Frittoli. Nel luglio 2015 nasce la Riccardo Muti Italian Opera Academy per giovani direttori d’orchestra,  che si prefigge l’ Obiettivo di trasmettere l’esperienza di Muti ai giovani musicisti e far comprendere in tutta la sua complessità il cammino che porta alla realizzazione di un’opera. Nel 2021 dirige nuovamente il concerto di Capodanno di Vienna, edizione svoltasi a porte chiuse in assenza di pubblico a causa dell’emergenza dovuta alla pandemia da Covid-19. Critico con il nostro governo per la gestione delle norme anticovid riguardante i teatri:

“Spagna e Russia non hanno mai chiuso le sale, noi sì. (..) Queste prolungate chiusure sono irrispettose di ciò che la cultura rappresenta per l’Italia. Una volta tanto dovremmo cercare di essere più mediterranei e meno teutonici e di prendere meno esempio da Germania ed Austria perché l’Italia ha una storia e un patrimonio artistico più ricco di qualsiasi altra nazione al mondo. (..) Con il ministro della cultura Dario Franceschini ho intavolato un dialogo, ma non basta un ministro ci vuole tutto il governo, è necessaria l’attenzione di una nazione intera, serve una classe dirigente che trovi soluzioni e occorre che le grandi industrie mettano a disposizione fondi e risorse. (..) la gloria dell’Italia è fatta anche dai nostri musicisti e maestranze che sono abbandonati, parlo di uomini e donne, di ragazzi e ragazze che oggi sono letteralmente alla fame. (..) Senza la musica, l’arte, la cultura, la società sarebbe più bestiale.”

In una recente intervista rilasciata per i suoi 80 anni ha lanciato un grido di dolore, che può essere recepito come un inno di battaglia:

“Ottant’anni a breve e mi sono stancato della vita. È un mondo in cui non mi riconosco più. E siccome non posso pretendere che il mondo si adatti a me, preferisco togliermi di mezzo… come nel Falstaff, ‘tutto declina’.  Ho avuto la fortuna di crescere negli anni 50, di frequentare il liceo di Molfetta (..) con professori non severi, severissimi… Rimpiango la serietà. Rimpiango lo spirito con cui Federico II fece scolpire sulla porta di Capua, (..) il motto: ‘Intrent securi qui quaerunt vivere puri’ (Entrino sicuri coloro che intendono vivere onestamente). Questa è la politica dell’immigrazione e dell’integrazione che servirebbe. (..) Non so se dopo la morte davvero ci rivedremo in un mondo migliore. Certo non nei Campi Elisi. Spero ci sia tanta luce, mi basta che non ci sia la metempsicosi. Non ho voglia di rinascere, (..) Una vita è più che sufficiente».  Ho avuto una formazione cattolica. Ho ammirato molto papa Ratzinger, anche come magnifico musicista. Non credo nei santini di Gesù biondo. Dentro di noi c’è un’energia cosmica che ci sopravvive, perché è divina. (..)  Il lockdown l’ho passato a studiare, ma a parte lo studio, è stato orribile. La disumanizzazione si è fatta ancora più profonda. La mancanza di rapporti umani è terrificante. Entri al ristorante e vedi al tavolo cinque persone tutte chine sul loro smartphone, Io non lo posseggo e non lo voglio. La tv avrebbe dovuto approfittare del lockdown per fare trasmissioni educative.  Invece,(..) siamo stati invasi da virologi, da sedicenti ‘scienziati’. Per me scienziato era Guglielmo Marconi. La banalità della tv e della Rete, questo divertimento superficiale, la mancanza di colloquio mi preoccupano molto per la formazione dei giovani. Non sono né di destra né di sinistra, sono tra quelli che tentano di dare indicazioni utili. Io sono nato uomo libero e tale rimango. Sono cresciuto con dettami salveminiani, socialista non bolscevico. Non mi sono mai affiliato a una congrega. C’è un eccesso di politicamente corretto anche nella musica, con il Metoo, Da Ponte e Mozart finirebbero in galera. Definiscono Bach, Beethoven, Schubert ‘musica colonialista’: ma come si fa? C’è un movimento secondo cui dovrebbe esserci un equilibrio tra uomini, donne, colori di pelle diversi, transgender, in modo che tutte le questioni sociali, etniche, genetiche siano rappresentate. Lo trovo molto strano. La scelta va fatta in base al valore e al talento. Senza discriminazioni, in un senso o nell’altro.  Credo nei viaggi dell’amicizia e della pace. Non lavori per il successo, la quantità di applausi e articoli, lo fai perché capisci che la tua professione è una missione. Non ho paura della morte, (..) Da ragazzi andavamo la sera al cimitero a vedere i fuochi fatui. Ho conosciuto l’ultima prefica, Giustina: raccontava i pregi del morto, disteso sul letto nell’unica stanza della casa, la porta aperta sulla strada, alle pareti la foto del fratello bersagliere o dello zio ardito.  Un mondo semplice e fantastico, che mi manca moltissimo. Per questo le dico che appartengo a un’altra epoca. Oggi il mondo va così veloce, travolge tutto, anche queste cose semplici, che sono di una profonda umanità. Ai miei funerali non voglio applausi. Sono cresciuto in un mondo in cui ai funerali c’era un silenzio terrificante. Quando sarà il mio turno, vorrei il silenzio assoluto. Se qualcuno applaude, giuro che torno a disturbarlo di notte, e nei momenti più intimi.”

Mentre leggerete questo articolo, sicuramente risuonerà dalle radio o dai tg, qualche motivetto sanremese, concludo con quella che il maestro Muti, ritiene la miglior definizione della musica, l’ha scritta Dante nel XIV canto del Paradiso:  “E come giga e arpa, in tempra tesa/ di molte corde, fa dolce tintinno/ a tal da cui la nota non è intesa,/ così da’ lumi che lì m’apparinno/ s’accogliea per la croce una melode/ che mi rapiva, sanza intender l’inno”. “La musica è rapimento, non comprensione. Critici musicali, tutti a casa! Non c’è niente da comprendere”.

 

Immagine: https://bari.repubblica.it/

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