Je ne regrette rien

 

Je ne regrette rien

“Io non rimpiango niente” o “Io non mi pento di niente”, 1960 il passerotto Edith Piaf torna sulla scena canora transalpina col brano “Je ne regrette rien”, boom discografico sui giradischi delle feste fatte in casa, nei jukebox di bar e bistrot, sui davanzali romantici degli adolescenti, si danza lento guance a guancia innamorati ciascuno del respiro dell’altro, chanson d’amour, melanconia esistenziale d’una gioventù latina cui le noir s’addiceva.

La Piaf dedicò la canzone alla Legione straniera, ultimo baluardo francese in Algeria, diga alla guerra d’indipendenza magrebina del FLN, braccio di ferro di 7 anni e 1/2 dal ‘54 al ‘62, risoltosi con l’indipendenza del Paese berbero, knock out finale à la grandeur francese spocchia bastonata ancora dopo gli schiaffi ignominiosi presi in Indocina.

La Légion Étrangère, élite mercenaria cosmopolita (quanti camerati italiani l’hanno abbracciata) combatteva soprattutto in Africa, fu argine alla guerriglia algerina, al terrorismo (le bombe  della battaglia d’Algeri del ‘56 poi vinta dalla Légion) attuando tecniche della lotta armata vietnamita trasferite nella “guerra contro-sovversiva”, tecniche già usate dai ribelli, i “fellagha” (banditi) del FLN per terrorizzare i coloni francesi. Fu contro guerriglia con gli stessi metodi e ferocia, impaurire la popolazione perché non collaborasse con gli insorti non li coprisse, così quei soldatacci figli di puttana furono capaci di rovesciare il banco sul terreno di scontro a vantaggio dell’ago francese.

Non sfugga a chi legge che l’Algeria per la Francia non era una colonia ma territorio nazionale francese a tutti gli effetti, provincia d’oltremare, la rivolta era considerata (anche da F. Mitterand) una secessione armata inaccettabile e il conflitto acceso un atto di guerra civile, come tale fu una guerra molto sporca.

La Piaf era una patriota tosta di sangue italiano partorita in un androne dalla mamma livornese la chanteuse Antonetta Marini il 19 dicembre 1915, infanzia da incubo finché quella voce struggente d’ usignolo insanguinato gorgheggiante per strada non catturò l’orecchio di Albert Richardit, da quel momento ebbe inizio la sua vie en rose.

Pourquoi à la Lègion? Perché Edith negli ultimi anni della sua breve vita tormentata (solo 48 primavere) si schierò apertamente per la difesa della Patria tutta, Algeria compresa, marciando virtualmente coi reggimenti della Legione applaudendo, nel ‘61, i generali del push magrebino Salan, Challe, Jouhaud, Zeller. C’etait assai avec la mammoletta Paris, il 22 aprile alla radio proclamarono  “l’esercito ha preso il controllo dell’Algeria e del Sahara” Cyrano contro cento sicari,  i “lupi” d’Algeria contro tutti.

De Gaulle corse ai ripari, brutale repressione contro gli insorti, furono isolati dalla polizia metropolitana, accerchiati “bastonati”  fatti prigionieri. I ribelli sfuggiti alla repressione formarono un’altra sigla da leggenda l’OAS agguerrito esercito di irriducibili.

L’ultima battaglia doveva essere a Zéralda sulla costa, base del I° Régiment étranger de paracadutiste comandato da un eroe il col. Helié Denoix de Saint Marc. Isolato da tutti senza ordini da eseguire, decise di consegnarsi per evitare l’ennesimo conflitto fratricida. Però prima d’avere i polsi stretti dalle catene ordinò ai suoi legionari di uscire dalla caserma incolonnati in perfetto ordine da parata. Gli uomini obbedirono e uscendo intonarono tutti assieme il canto Je ne regrette rien quello che Edith Piaf aveva appunto dedicato alla Legione straniera.

Quei “soldati perduti” si avviavano coscienti a essere giudicati dai tribunali militari, furono galera e plotoni d’esecuzione ma quel canto dell’usignolo fu il loro inno da cavalieri di una causa perduta ma combattuta con onore.

D’altronde Le Boudin ( Marche de la Légion Étrangère) recita:  “Non siamo dei tipi ordinari/Noi sentiamo spesso la malinconia,/Noi siamo dei legionari”la Legione è immortale.

Dal cellulare di Claudio canuti camerati esuli dai domiciliari senza Speranza, tacciono, ascoltano quella vocina arrotata, arcana vibrazione di un sentire comune trasfuso in tanti piccoli o grandi legionari “non normali” nell’assalire il Palazzo dell’usura, occhi stanchi, refolo di malinconia, una cicca e il vino accompagnano le note di Edith alla fierezza di ciascuno.

No, non rimpiangiamo né rinneghiamo niente. Presenti!

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