Jünger: la sfida del ribelle [3]

 

Jünger: la sfida del ribelle [3]

L’Operaio e il Milite Ignoto sono, nella visione jüngeriana, il risultato della negazione dell’individualità, benché non rivolta in direzione di quella superindividualità che la Tradizione indica, in quanto prodotto di un mondo reso omogeneo dalla tecnica. E nonostante il tentativo dello scrittore tedesco di segnare una sorta di continuità ideale tra le tre figure del Lavoratore, del Milite Ignoto e del Ribelle – con l’affermazione che la ribellione potrebbe essere il destino di tutti, perché ci vuole poco a diventare un proscritto nella società moderna – ci sembra che la caratteristica del Ribelle non sia il suo essere un Tipo, bensì un ideale cui tende la soggettività umana che non è disposta a soggiacere alla persuasione costrittiva del mondialismo, del globalismo e del potere.

Non a caso Jünger dice che il bosco è dappertutto, anche tra i grattacieli; il Ribelle, quindi, è la figura che incarna fenomenologicamente il senso della libertà che si contrappone al rigido automatismo. In questo modo, ci sembra, il Ribelle si contrappone alla altre due figure: il Ribelle, anzi, è il nemico dell’Operaio. Ma cosa ha reso possibile l’ipotesi del Ribelle nel mondo delle macchine e della tecnica? Il Titanic, risponde Jünger, con il quale la tecnica ha rivelato il suo volto da Giano bifronte, per cui dietro l’hybris del progresso si nasconde il panico del naufragio; dietro il comfort della prima classe la distruzione e la morte. Così il prezzo del progresso tecnico è una sempre maggiore perdita di libertà perché dove avanza il progresso avanza il timore; per questo il Ribelle che prende la via del bosco è colui che vince la paura della morte, perché ogni paura è paura della morte.

La morte, infatti, se necessario va attraversata poiché, come la dissoluzione del granello di frumento genera frutti, così gli uomini che sanno morire hanno sempre visto affermarsi le loro idee nella storia. Non aver paura consente di imporre la propria libertà; e infatti l’uomo moderno è assediato dalle paure create dal Leviatano per estorcergli la libertà come pegno della sicurezza.

Dopo oltre sessant’anni è difficile non dare ragione allo scrittore tedesco: la sua analisi del mondo che è stato definito postmoderno e che meglio andrebbe definito autunno della modernità, dimostra come le paure sono risultate funzionali a un sistema di potere che genera la crisi per affermare soluzioni che altrimenti sarebbero improponibili. Così, ascoltiamo la musica dell’orchestrina mentre la nave della civiltà europea affonda, trascinata nel vortice dell’indistinto, dell’assurdo, dell’irrazionale, dopo lo scontro con l’iceberg della finanza anonima e del falso umanitarismo da ong.

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