Si è spesso, e giustamente, sottolineata la distanza tra la cosiddetta Rivoluzione conservatrice e il nazionalsocialismo: il primo fenomeno aristocratico, il secondo popolare; il primo proprio della Germania del nord, in particolare della Prussia, il secondo della Germania del sud; il primo volto a realizzare uno Stato organico, il secondo intento a costituire uno Stato totalitario. Ma nel 1932, Jünger, che della Rivoluzione Conservatrice è stato esponente di spicco, nell’Operaio auspicava l’avvento di una forte autocoscienza che con la spada tagliasse i vecchi legami, «una guida giovane e inflessibile», che tanto meno possiede di educazione nel significato usuale e meglio sarà.
Altrettanto chiare, in direzione nazionalsocialista, queste parole: «elemento di rivoluzione mondiale è il tipo umano dal quale la forma dell’operaio trae, creandola per i propri fini, una razza dominatrice. Il dispositivo segreto dei mezzi, delle armi, delle scienze, mira al dominio dello spazio da polo a polo, e i contrasti tra le grandi unità vitali aspirano al carattere di guerre mondiali». Il luogo di quella che potremmo chiamare, nella prospettiva jüngeriana, supermodernità è la città che ha già le caratteristiche del mondo nuovo, ma non ancora la forma. Per questo la vita moderna sembra assumere connotati enigmatici o addirittura folli: «un cristiano, per esempio, dovrebbe farsi l’opinione che in forme come quelle assunte nella nostra epoca dalla pubblicità si insinui un carattere satanico».
La precarietà diventa connotato della modernità, anche perché non esiste più un mestiere dove si possa raggiungere una compiuta maestria: siamo e rimaniamo tutti apprendisti. Affinché sia possibile una vita dominata dalla forma occorre, per lo scrittore tedesco, che si concluda la mobilitazione del mondo attuata dalla forma dell’Operaio: allora sarà possibile parlare di maestria; scomparirà il carattere di officina che oggi connota lo spazio tecnico e sarà possibile controllare le situazioni dell’esistenza. Questo perché la forma di cui parla Jünger non è la funzionalità: gli acquedotti romani, infatti, rivelano una perfezione tecnica che i moderni impianti non posseggono pur essendo più efficienti.
Per il momento non resta che vivere la contraddizione: costruiamo chiese con mezzi propri della tecnica moderna, cioè con mezzi anticristiani; si è perduta la dignità monumentale della morte e i cimiteri acquisiscono la freddezza dei centri commerciali, benché, anche in questo la Grande Guerra sia stata un’eccezione, restituendo dignità alle tombe e alle sepolture.