Nel 1960, Evola sentì il bisogno di compiere una parafrasi del testo che considerava il più importante dello scrittore tedesco e pubblicò, per i tipi Avio dell’editore Armando nella collana “I problemi della pedagogia”, L’Operaio nel pensiero di Ernst Jünger. Nel riassunto dell’opera non mancano spunti di apprezzamento relativi soprattutto all’evidenziazione di un motivo tipico del pensiero tradizionale: quello per il quale, quando l’uomo è disorganicizzato e diventa individuo, mera unità numerica, nasce come contrappunto la massa intesa come puro regno della quantità. Ciò consente di comprendere che la crisi della civiltà borghese è crisi dell’individuo e insieme della società di massa, uno correlativo dell’altra.
Evola considera positivamente anche la valutazione del marxismo, smascherato come l’altra faccia del mondo borghese, del mondo del mercante, e che non costituisce una forma ulteriore rispetto all’ordine economico; così come apprezza l’idea di uno Stato organico formato da Ordini che selezionino la sostanza umana e non da partiti che si limitano a reclutare masse. Il superamento dell’ordine borghese presuppone quindi il superamento della visione economicistica della vita e del reale; ed è questo un punto che da solo basterebbe a dimostrare l’interesse e l’attualità de L’Operaio nella prospettiva evoliana: il fatto che il tema centrale del libro sia quello di attraversare una zona di distruzione senza essere distrutti, il cavalcare la tigre, l’impugnare l’arma dal verso giusto e come questo sia possibile solo all’uomo inteso come Tipo, capace di un rapporto attivo con l’elementare, che ama di conseguenza la lucidità, l’autodominio, la disindividualizzazione, il realismo.
Jünger presentisce la persona assoluta, capace della massima autodisciplina, del massimo autocontrollo nell’attivazione totale del proprio essere. Interessante è anche il riconoscimento delle radici nietzscheane di molti dei temi jüngeriani, oltre all’affinità del superuomo con l’Operaio, con un vantaggio nella formulazione dello scrittore tedesco: mentre la “potenza” del superuomo è ancora informe, anarchica, non strutturata in un dominio che solo può giustificarla, per Jünger la potenza della tecnica deve portare a un mondo ordinato di forme e pienezza di essere. Jünger, per Evola, supera la crisi dei valori all’interno della quale si colloca ancora la rivolta anarchica nietzscheana, orientando la volontà di potenza verso la creazione di forme che nascono dal dominio dell’elementare che solo l’Operaio, erede dell’etica prussiana del dovere, può assicurare. Jünger sa, in altre parole, che la mèta è il mondo dell’essere, della stabilità delle forme, in cui sia possibile maturare un esatto e oggettivo criterio di valutazione del singolo.