Ma cos’è la destra/ma cos’è la sinistra canticchiava Giorgio Gaber nel ‘96. Writers e street artist sono di destra o di sinistra?
O anarchici, stirneriani in preda alla liberazione dell’ ego su muri, vagoni delle metro, autobus urbani.
Da marzo a luglio il chiostro del Bramante ha ospitato l’opera del writer/pittore J. M. Basquiat, anima e corpo ceduti all’eroina, l’anno prima palazzo Cipolla esponeva il furbo mistero Banksy, street artist di Bristol, un’icona.
Laura Galletti è invece una barbona del ‘47, da Verona a Milano, 30 anni di grafica pubblicitaria, persa la madre nel ’99, dal 2001 sceglie il bosco di Jünger, nel suo caso la strada, spogliandosi d’ogni peso, non tocca più denaro, non riscuote la nana pensione data in beneficienza, nè elemosina, eppure è una signora curata, parla bene, mai degradata, nulla a che fare con lo stereotipo del clochard.
Tiepida o agnostica quanto basta quand’era donna in carriera, attraverso la madre riscopre il sacro rimasto nel bagaglio. Sceglie la porta stretta, il sentiero impervio, di sé fa un ordine mendicante.
Dopo lunghi viaggi da Santiago di Compostela a Gerusalemme, decide d’adottare mamma Roma, la nostra di città santa.
Si costruirà una capanna sulla banchina di lungotevere V. Gasmann, di fronte al cilindro vuoto del Gazometro, un rifugio di canne legate, piccino, dignitoso, curato nei dettagli, lì accanto sul muraglione piemontese c’è graffitato un teschio, lei s’arma a ridipingere l’inquietante parete.
Due anni di lavoro per una che pittrice non è, spuntano fiori, foglie giganti, piante, frutti, lucertole, coccinelle, un omaggio alla natura naturans lungo il carcerato Tevere. Sono 20 metri d’ armonia, un dono gratuito a chi di fretta li incrocia con lo sguardo, un omaggio alla Città Eterna.
Nel 2016 i rancorosi writers li cancellano di colpo, gelosi dello spazio “rubato”, capitalisti andati alla reconquista d’un muro considerato proprietà privata. Non basta, la mano d’ un corvo senza nome, le brucia la capanna, resta solo cenere sotto il ponte, per grazia ricevuta da Papà Laura resta illesa.
Lei non c’è più, ha lasciato Roma dopo quel “segno”, non porta rabbia per il doppio misfatto, vorrà dire che bisogna rimettersi in cammino senza piantar radici, senza laccioli; cammina coi piedi sull’asfalto fino in Calabria poi in Sicilia. Non è una writer né una street artist, è un’irregolare, out rispetto alle bande dei bombolettari, un tempo audaci ora partigiani spesso ben pagati, vedi i succitati artisti.
C’è un libro di E. Jünger che vi consiglio Eumeswil, città sopravvissuta alla catastrofe, governata da un tiranno attraverso la profetica tecnologia, deità laica della globalizzazione. Solo l’anarca Manuel-Martin,’“uomo differenziato”, scioglie il nodo essere-apparire scoprendo in sé la libertà assoluta, è “spirito intelligente”, direbbe G. Rol, capace di sbucciare la cipolla fino al cuore della vita, vivere su quell’isola che non c’è per i normalizzati.
Destra-sinistra sono solo furbi luoghi comuni anche sui muri perché accaniti partigiani d’una sponda. Laura “la povera allegra” è andata oltre, nello zainetto porta Papà, non il Pietro di Bernardone di Francesco, ma il Padre con la P maiuscola. Questo suo libero camminarsi dentro, da anarca, verso la luce, Laura l’aveva dipinto sulla morte e non era un caso.