L’architettura degli invisibili

 

L’architettura degli invisibili

Maria (pseudonimo) abitava nella Galleria Caracciolo a Roma, davanti aveva il MPS (sic!), per letto la soglia d’una vetrina dell’ACI. C’ incontravamo ogni mattina mentre raggiungevo la mia scuola. Lei mi fermava sempre per raccontarmi i suoi fantasmi, uno sciame di vespe annidato nella sua follia. Carrelli gonfi di sacchetti, coperte, cartoni da imballaggio, l’arredo della sua casa, indosso la corazza d’un cappotto, da sotto spuntavano due gambette secche a reggere una schiena a virgola sempre piegata. Venne il giorno che la trovai distesa sul suo giaciglio, gli occhietti socchiusi a cercare un cielo che non c’era, la bocca un poco aperta per far uscire l’anima, Un piccolo crocicchio che va di fretta, poverina! Arriveranno prima o poi i solerti vigili romani, “dobbiamo scappare il lavoro ci chiama”. A lei ho dedicato dei versi che tengo molto cari.

 Il più grande business non sono la droga, il gioco, la prostituzione, gli appalti mansueti, è la povertà. Non cale spendere analisi su questo, ciascuno può capirlo da sé volgendo lo sguardo alle infinite Associazioni che impestano il mondo usurando sulla faccia dei poveri, bambini, donne o anziani, usando in fondo, in fondo, il ricatto della Salvezza. La Caritas ci sciorina ogni anno dati a dir poco allarmanti sulla crescita dell’indigenza nel nostro Bel Paese, solo a Roma si calcola ci siano 15-16.000 homeless, gli invisibili d’una società votata alla velocità del fare per poter comprare. Io che mi sono costretto nei piedi, “guarda l’uomo che cammina” disse, stupito, un bambino alla sua mamma sorpreso che non viaggiassi in sella a un’auto come suo padre. Diciamo questo perché t’accorgi solo camminando della realtà vera, quella nascosta tra le pieghe, quella fastidiosa al pubblico decoro, molesta per odori ma soprattutto per la coscienza.

 L’Architettura degli invisibili è il nido primitivo dell’uomo, non ha bisogno di concessioni edilizie, sorge spontanea sotto i ponti del fiume, nei canneti piegati verso l’acqua, nei campi abbandonati per accogliere i nuovi schiavi, nelle favelas nostrane. E’ architettura del riciclo a volte ben curata come la casa data alle fiamme di Laura Galletti, con tendine alle finestre e vasi di fiori.

Questa anarchia del fai da te di chi ha avuto la follia-coraggio di varcare la soglia per sparire da un mondo che non gli appartiene, è un serio problema per una società in progress assai codina, tanto che fioccano mini soluzioni abitative per i clochards, delle quali diamo brevemente conto.

Un giovane architetto anglosassone James Furzer ha vinto il primo premio di un concorso di idee dal tema “Case per i senzatetto”. I rifugi sono sospesi ad altezza d’uomo, aggrappati al muro di un fabbricato già esistente, specie di foruncolo o adesivo con la pelle in compensato su ossa di ferro, una capsula raggiungibile con una scaletta,“ un posticino caldo, asciutto e sicuro dove qualcuno può godere di poche ore di riposo” dice l’architetto di Dagenham.

Poi c’è il progetto Home for the Homeless  dello studio Panoramic Interests per S. Francisco offesa dalla presenza di circa 7.000 barboni ( Roma ne ha più del doppio). Si tratta di micro appartamenti di 15 mq con struttura in acciaio, antisismica, perfettamente organizzati al loro interno, dotati di servizi. Queste unità modulari possono “impilarsi” una sull’altra, formando un vero e proprio edificio…dei poveri. Costi e tempi di costruzione si abbattono di molto ma occorrono investimenti cospicui da enti o privati perciò il suo via dipende dalla raccolta fondi su tanto di piattaforma.

Il senatore a vita, quasi sempre assente, Renzo Piano ha studiato per le emergenze abitative un micro alloggio di ben 6 mq! chiamato Casa Diogene, cioè la botte dove viveva il “Socrate pazzo”, su commissione della  Vytra Campus di Weil am Rhein in Germania. E’ la casa più piccola del mondo prodotta industrialmente al modico costo di 20.000 Euro, E 3.300/mq, non c’è che dire la povertà è un affare col botto.

 

 

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