L’Arcitaliano

 

L’Arcitaliano

9 giugno 1898, nasce a Prato Kurt Erich Suckert, figlio dell’Italiana Edda Perelli, e del tintore Sassone Erwin Suckert. Terzogenito di sette fratelli, poco dopo la nascita fu affidato a balia alla famiglia dell’operaio tessile Milziade Baldi e di sua moglie, che lui considererà suoi genitori, mantenendo per tutta la vita un cattivissimo rapporto con il padre Tedesco. Dopo la scuola dell’obbligo frequentò il liceo classico Cicognini di Prato, lo stesso di Gabriele D’Annunzio, con la cui opera letteraria e politica avrà un rapporto di odio-amore. Il giovane Suckert emulando il “Vate” diverrà presto uno degli autori più significativi del ‘900 rinnegando il cognome paterno e prendendo il nome d’arte di Curzio Malaparte. Lo pseudonimo, fu ideato come umoristica paronomasia basata sul cognome “Bonaparte”. Critico della retorica Dannunziana, nel 1927 all’uscita nelle librerie del suo romanzo “Avventure di un capitano di sventura”, D’Annunzio gli spedì una lettera, unica nota intercorsa fra i due, che recita bonariamente: «So che tu mi ami; e che la tua ribellione esaspera il tuo amore. Con la tua schiettezza e con la tua prodezza, col tuo furore e col tuo scontento, quale altro uomo potresti amare, oggi, nel mondo?»

Malaparte è stato Poeta, saggista, romanziere, giornalista, militare, diplomatico, agente segreto, regista cinematografico, una delle figure centrali dell’espressionismo letterario italiano. Scrittore «immaginifico» si avvicina alle tematiche e allo stile di Louis-Ferdinand Céline con cui ebbe un’amicizia epistolare. Interventista e volontario nella Grande Guerra, ammiratore di Mussolini e “fascista della prima ora”, partecipò alla marcia su Roma con le squadre fiorentine come luogotenente del console Tamburini, e fu attivo nelle posizioni di fascismo di sinistra. All’indomani del delitto Matteotti, Malaparte fu uno dei più accaniti sostenitori dello “squadrismo intransigente”, tanto da intervenire come teste a discarico al processo di Chieti. Nel 1924, fonderà il quindicinale “La conquista dello Stato”. Nel 1925 fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti su invito di Giovanni Gentile.

 Con Maccari e Longanesi, teorizzarono il movimento “Strapaese” caratterizzato dallo spirito patriottico e dalla difesa e valorizzazione del territorio. Obiettivo di Strapaese era la restaurazione di un’Italia rurale, tradizionale, paesana, patriottica, tradizionalista, antieuropea ed antiamericana. “Il Fascismo tornerà così ad essere schiettamente e profondamente “provinciale”. Rivivrà l’antico spirito delle origini. (…) L’avvenire del Fascismo non è a Roma: è nelle Provincie: nel popolo”. Sostenitore del folclore e delle tradizioni locali, Strapaese si oppose anche alle demolizioni e agli sventramenti degli antichi borghi medievali nei centri urbani, criticando la modernità e l’industrializzazione, riassumendo in sé elementi tradizionali ed agrari. Nel 1924 Scrive su “La conquista dello stato”. «La Rivoluzione fascista non può e non deve ripetere gli errori del Risorgimento, finito in malo modo nel compromesso antirivoluzionario (..) che preparò il ritorno al potere attraverso il liberalismo, la democrazia, (..) di quegli elementi (..) austriacanti, e papalini che avevano sempre combattuto (..) gli eroi del Risorgimento. È necessario che il Fascismo prosegua senza esitazioni il suo fatale cammino rivoluzionario.». Dal 1928 al 1933 fu direttore della “Fiera Letteraria” e nel 1929 fu nominato direttore del quotidiano “La Stampa”. Nel 1931 pubblicò a Parigi, in lingua francese, il libro “Technique du coup d’etat”, Tecnica del colpo di Stato un’opera dall’interpretazione machiavellicamente ambigua, in pratica un manuale per la conquista del potere attraverso il rovesciamento dello Stato. Nel libro si analizza (e critica) sia l’ascesa al potere in Unione sovietica che in Germania, e emerge un forte sentimento antigermanico, originato oltre che dal rapporto con il padre naturale, da avvenimenti avvenuti durante il primo conflitto mondiale. Kurt partì volontario all’età di sedici anni nel 1914 inquadrato nella Legione straniera francese. Nel 1915 con l’entrata in guerra dell’Italia poté arruolarsi nel Regio Esercito, arrivando in pochissimo tempo al grado di sottotenente. Combatté in Francia con i “Cacciatori delle Alpi” dove venne decorato con una medaglia di bronzo al valore militare.

Sempre in Francia a Bligny, fu protagonista di una tragica vicenda che ne avrebbe segnato il carattere. Un suo commilitone, fu colpito da una granata tedesca, rimanendo dilaniato dall’esplosione. Dopo una giornata di strazianti dolori, Malaparte, dietro pressanti richieste dello stesso, vista l`irreparabilità delle ferite, fu costretto a finirlo con un colpo di fucile. Tecnica del colpo di stato, fu proibito in quasi tutti i paesi, (in Italia fu tradotto solo nel 1948), violentemente attaccato da Trockij, bruciato per mano del boia di Lipsia sulla pubblica piazza per volontà di Hitler, Mussolini apprezzò la forma del libro, ma lo proibì ugualmente per non irritare la Germania. A causa dell’irriverenza del libro e della vicinanza a Giuseppe Bottai ed altri fascisti di sinistra (allora riuniti in Critica fascista), venne allontanato dal quotidiano La Stampa, espulso del Partito Nazionale Fascista e condannato a 5 anni di confino all’isola di Lipari; ma già nell’estate 1934 ottenne il trasferimento con soggiorno obbligato, in due famose località di villeggiatura, Ischia e poi Forte dei Marmi, continuando a pubblicare una serie di articoli sul Corriere della Sera sotto lo pseudonimo di “Candido”. Nel 1936 fece costruire a Capri, la suggestiva “Villa Malaparte”, una vera e propria maison d’artiste, su modello della dimora dell’amato/odiato D’annunzio, che divenne ritrovo di artisti e intellettuali. Nel 1935 causa una relazione amorosa con Virginia Bourbon del Monte, vedova di Edoardo Agnelli, iniziata pare “prima” della vedovanza entrò in contrasto con il senatore Giovanni Agnelli (fondatore della FIAT). Una leggenda, diffusa a Torino, vuole Umberto Agnelli come figlio naturale di Malaparte.

Con l’ingresso dell’Italia nella Seconda guerra mondiale, Malaparte fu mobilitato col grado di Capitano, assegnato al 5º Reggimento alpini, ed inviato sul fronte greco. Nel 1941 si recò in Jugoslavia, dove fu l’unico corrispondente di guerra straniero al seguito delle truppe tedesche, probabilmente per le sue origini tedesche, ma nonostante quelle origini, Malaparte rimarrà sempre un anti-tedesco ed anti-austriaco risorgimentale. Dopo l’8 settembre 1943, rifiutò, come ufficiale del Regio Esercito, l’adesione alla Repubblica Sociale Italiana.  Nel novembre 1943 fu arrestato, dal Counter Intelligence Corps (CIC), il controspionaggio alleato, per le sue attività diplomatiche, da allora, tradendo i suoi ideali di gioventù, iniziò a collaborare col CIC. Nel suo romanzo più conosciuto criticherà anche questa sua scelta, ” la schifosa pelle (…) quella è la bandiera della nostra patria”, e nell’epigrafe utilizzerà una significativa citazione di Eschilo: «Se rispettano i templi e gli Dei dei vinti, i vincitori si salveranno», riferimento critico al comportamento degli Alleati nei confronti della popolazione italiana e dei prigionieri tedeschi, non risparmiando pesanti critiche al comportamento dei militari angloamericani.  In seguito, rievocherà le vicende dei franchi tiratori fiorentini, che sparavano dalla sponda nord dell’Arno sugli americani per impedire loro di varcare il ponte Vecchio.  Nel dopoguerra bazzicherà le segreterie di partito collezionando tessere come fossero figurine Panini, dai repubblicani, sin’anco al P.C.I.  A Roma, in Piazza Colonna, incontrò il presunto assassino di Mussolini, l’ex comandante partigiano Walter Audisio, divenuto deputato, e lo descrisse come «dal viso cretino e vile».  Nel 1950 scrisse e diresse il film neorealista “Il Cristo proibito” Negli anni seguenti collaborò al settimanale «Tempo» con la rubrica “Il Serraglio”, passata poi a Pier Paolo Pasolini.

Nel 1957 intraprese un viaggio nella Cina comunista, iniziò ad esplorare le città e soprattutto le campagne, osservando entusiasticamente i fermenti rivoluzionari, affascinato dallo spirito populista e patriottico, subendo il fascino del ruralismo che gli ricordava il suo progetto di Strapaese. Qui intervistò Mao Zedong, chiedendo la libertà per un gruppo di sacerdoti arrestati, e la ottenne. Gli appunti di viaggio inviati a Togliatti per la pubblicazione su “Vie Nuove”, non vennero però pubblicati per l’opposizione di Calvino, Moravia, e altri intellettuali, i quali avevano sottoscritto una petizione affinché “il fascista Malaparte” non potesse pubblicare su una rivista comunista. In Cina le sue condizioni di salute peggiorarono (soffriva già da anni di una pleurite ormai cronicizzata al polmone sinistro), venne curato con molta sollecitudine nell’ospedale di Chongqing, poi accompagnato con un volo personale a Roma. Tornato in Patria, malato ed al verde, tacciato dai “Fascisti” come traditore, e dai Comunisti come “Fascista” fu ricoverato a spese de “Il Tempo”, presso la clinica Sanatrix, gli venne diagnosticato un carcinoma polmonare inguaribile. Venne visitato da Togliatti, dal primo ministro Amintore Fanfani, dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, da Fernando Tambroni (che tre anni dopo diventerà presidente del consiglio con i voti fondamentali del Movimento Sociale), da sacerdoti e da colleghi. Secondo Massimo Fini, Malaparte affermò ironicamente che forse poteva guarire perché non credeva «che Dio fosse così stupido da far morire Malaparte»,  morì di cancro il 19 luglio 1957 a Roma, a soli 59 anni, in presenza di padre Virginio Rotondi (inviato direttamente da Papa Pio XII, dopo che aveva allontanato un prete poco diplomatico che gli intimava di “pentirsi”, dopo essere stato battezzato in forma intima con un bicchiere d’acqua nella fede cattolica romana (abiurando il protestantesimo di nascita). Come ammiratore del popolo cinese da cui era rimasto folgorato nell’ultimo viaggio, l'”Arcitaliano” lasciò alla Repubblica Popolare Cinese la proprietà di Villa Malaparte, ma gli eredi impugnarono il testamento vincendo la causa. Il collaborazionismo con gli alleati, resta la pagina buia della vita di un grande “Italiano”, ma gli va riconosciuta come ad altri grandi Italiani sia “di Destra” che di sinistra una visione del mondo “altra” che possa essere faro spirituale per una sintesi politica a venire, per la costruzione di un “uomo libero”. «Nel concetto dei toscani, chi non è un uomo libero è un uomo grullo. (…) I toscani han l’abitudine di non salutare mai per primi nessuno, nemmeno in Paradiso. E questo, anche Dio lo sa. Vedrai che ti saluterà lui, per primo.»  Cit. Maledetti Toscani.

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