L’eminente dignità del provvisorio

L’eminente dignità del provvisorio

Mi sembra ricordare sia Fulvio Tomizza, le cui origini istriane lo inseriscono fra ‘gli scrittori di frontiera’, che, ponendo fine ad un suo romanzo, scriva come il mondo muoia ogni volta che muore un uomo. Idea presuntuosa bislacca tolemaica come se la natura dipendesse dalle nostre leggi dai nostri desideri dai nostri disastri (il clima e i suoi cambiamenti sembrerebbero darmi torto, ma qui io mi riferisco ai principi e non alle sue manifestazioni). Nietzsche ci esortava a respingere la desertificazione, quella dello spirito aggredito dal nichilismo, egli intendeva. Il deserto è tale e non perché lo avvertiamo spazio inospitale, preferendo la settimana di Ferragosto sulla spiaggia di Rimini o di volare in viaggio di nozze in qualche esotica e romantica isola dell’Oceano Pacifico. L’organizzazione sociale delle formiche, ad esempio, è certo funzionale e superiore a quella umana (così si dilettava a studiare il professore Aldo Braibanti, passato alle cronache giudiziarie per le sue disavventure da pederasta più che per la passione verso la mirmecologia – il titolo del suo libro Le prigioni di stato mi trasse in inganno, mentre misuravo tre metri per sei nella cella di Regina Coeli, oggi della sua vicenda hanno tratto un film, dicono, ben fatto). Solo perché, più alti e più forti, possiamo noi ‘umani’ farne scempio e fregarcene della loro laboriosità, noi che possiamo portare il pollice verso le altre dita e trarne presa e utilizzo sicuri.             

Da questa premessa non segue saggio o presunto tale magari su riti di inumazione o cremazione – il dio Sole la Terra madre -, le genti arya guerriere ove è il pater familiae a dettare la norma sacra in contrapposizione alle forze ctonie rette dal matriarcato, la commistione fra le due antinomie (Roma indo-europea raccoglie dagli etruschi l’uso funerario del sarcofago). Tanto meno è mio intento mettermi a disquisire con il Darwin se avevamo in origine la coda, il Jack London di Prima di Adamo, o citare il Platone del Timeo. (C’è chi più e meglio di me si interessa studia conosce queste cose, alcune di queste mi furono letture giovanili ma che, ormai, si vanno scolorando nella memoria sempre più precaria e imperfetta).                                               

Qui, come da tempo, mi preme scendere in campo, magari con spuntata e ridicola lancia impugnata da un modesto emulo di Don Chisciotte, e combattere l’assurda arroganza e presunzione di considerarci (a priori) quali razza distinta e superiore – altro è sottrarci al richiamo verso il basso indistinto e oscuro – e sposare tutto ciò che appartiene all’incognita del divenire e dello scomparire. Come se fosse umiliante e servile misurare il proprio tempo non conoscendone la fine, pur consapevoli che essa si nasconda in attesa inesorabile all’angolo, oltre il muro – in pratica al destino del Nulla… E questo Nulla non va confuso con l’ammonimento ad evitare che ‘il deserto cresce’, nulla a che spartire con i timori espressi dallo Zarathustra, non rimanda al vuoto di Democrito, non vibra sulle note di un ‘oceano di silenzio’. E questo Nulla non appartiene al disprezzo dei filosofi, tutti pieni di sé medesimi, non agli anatemi incenso e gesti ieratici delle religioni, non a banali e ricorrenti scongiuri gatti neri e rapidi toccasana fra le gambe… Questo Nulla ha ben altro in serbo, un gesto, uno schiaffo, una sfida. Tu chiamalo se vuoi ‘l’eminente dignità del provvisorio’.

 

Immagine: https://forumtomizza.com/it

Torna in alto