L’anno scorso – a nostro parere sottotono – s’è celebrato l’anniversario della morte di Dante, 14 settembre 1321, a Ravenna. In esilio. (“tu lascerai ogne cosa diletta – più caramente; e questo è quello strale – che l’arco de lo essilio più smetta – Tu proverai sì come sa di sale – lo pane altrui, e come duro calle – lo scender e ‘l salir per l’altrui scale”, come si legge nel Paradiso). Un esilio sofferto, eppure, quando gli fu proposto il rientro purché sottoscrivesse una sorta di atto di pentimento, non ebbe dubbi e respinse un gesto, tanto atteso e sperato, ma al contempo offensivo e inaccettabile alla sua coscienza. La dignità superiore all’identità – Dante è fiero e orgoglioso d’essere fiorentino -, coerenza dunque.
E ne troviamo riscontro nella Epistola XII: il 19 maggio del 1315 il comune di Firenze emanò una amnistia per tutti i fuoriusciti purché pagassero una simbolica multa e Dante facesse ammenda delle proprie colpe durante pubblica manifestazione.
Quest’anno ricorrono i cento cinquanta anni dalla morte di Giuseppe Mazzini, il 10 marzo del 1872 a Pisa, sotto falsa identità ché era ricercato dalla polizia del Regno d’Italia (in effetti tenuto sotto vigile controllo, consapevole che oramai era e stanco e malato e prossimo alla fine). Di lui ebbe ad esprimersi Carlo Pisacane, diversi anni prima, in una sorta di anticipata epigrafe: “Niuno, durante l’intera vita, ha operato con fini più retti, niuno ha rivolto, con maggiore costanza, tutti i pensieri e tutte le opere ad un solo fine, così grandioso come è quello del Risorgimento italiano… Nella storia antica e moderna non si riscontra un uomo che abbia sacrificato tutto l’utile privato ad un utile pubblico sperato. Cotesto tipo di un uomo, di cui tutti i pensieri e gli affetti si riassumono indefessi e costanti nell’amore alla patria, è frutto di terra italiana, una gloria di più da aggiungersi alle tante che noi contiamo”. E anche qui si legittima il valore della coerenza.
Coerenza che s’era espressa fin da quando, nel 1830, accusato d’essere carbonaro e trascorsi quattro mesi nel carcere di Savona, fu messo di fronte al dilemma o il soggiorno obbligato per un periodo di tempo non definito in un paesotto dell’interno o l’esilio. La scelta dell’esilio era l’unica possibile per chi aveva oramai segnato le tappe di un destino di libertà e unità d’Italia. La coerenza che presuppone la scelta nonostante il tempo e le circostanze ne siano lo scenario ove collocare il senso della nostra esistenza. Non si tratta di trarne specie di icona da venerare e incensare. Si dice, ad esempio, come la politica sia l’arte del compromesso – e ben sia così (ho citato più volte un articolo del 1921, pubblicato su Il Popolo d’Italia senza firma, ma riconducibile a Mussolini che ribatte ai circoli dei legionari di Fiume che gli rimproveravano l’adesione elettorale ai Blocchi nazionali). La coerenza, però, può e deve essere vigile sentinella, a guardia e confine del limite ove il necessario viene abbandonato per rincorrere l’utile o, come amava Charles Maurras, ripetere “la giornata sta per finire senza fiamme: ho pregato che non si accendano fuochi. Che la sera scenda con le sue nebbie incerte: il dettaglio, l’incidente, l’inutile, vi affogheranno, mi resterà l’essenziale. Ho mai chiesto altro alla vita?”.
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