L’eterno presente della libertà
«Viviamo in un eterno presente che il virtuale scompone in infinite solitudini», ci ha ricordato Giovanni Lindo Ferretti in una recente intervista[1]. Niente di più vero. Il dramma del paradigma fluido della post-modernità è proprio questo: l’annichilimento distruttivo della persona ad individuo atomizzato, gettato nella propria solitudine sconsolata, nell’inesorabile scorrere del tempo che incide nell’informe sostanza di un nuovo essere ibrido, il cosiddetto transumano. L’antropologia di ieri non è più confacente ai neoideismi di oggi, richiede una impostazione completamente diversa, una ri-codificazione del pensiero e dei pensati secondo la illogica deformazione del bi-pensiero. Catene su catene si aggiungono, giorno dopo giorno, a renderci schiavi di una realtà virtuale dove i confini morali del vivere sono sempre più sbiaditi ed ogni certezza viene sostituita dalle mode del relativo categorico.
La Storia ci insegna – se ancora si ammetta che ci possa insegnare qualcosa – che è dalla crisi che scaturisce l’evoluzione. Così come la rivoluzione antropologica sta portandosi a termine con l’annientamento dell’identità personale, e comunitaria, sparando gli ultimi colpi d’artiglieri alla forma politica dell’uomo, decretando la vittoria massificata del pensiero debole, allo stesso modo la solitudine del soggetto contemporaneo può dimostrarsi come la dimensione spazio-temporale in cui trascendere la dimensionalità stessa e proiettarsi verso un qualcosa di nuovo e migliore.
Questa epoca di passaggio, di transito verso un nuovo mondo come già definita, richiede una evoluzione del singolo che scaturisce da un atto della libera volontà; una evoluzione integrale, completa, che non richiede però delle condizioni ambientali particolari, perché scaturisce esattamente dalla negazione di ogni condizione, ovvero dal distacco totale dal contesto e dall’ambiente. Meglio ancora, la crisi più profonda e col miglior risultato è quella in cui, finalmente, la persona scopre di potersi distaccare addirittura dalla propria mente, cessando di identificarsi con essa e cogliendo, quasi per luminusa intuizione, la possibilità di essere presente a se stessa in un eterno presente, osservandosi dall’interno, in autocoscienza. È il famoso hinc et nunc degli antichi, il qui e ora.
Eterno presente della libertà, dimensione senza dimensioni nella quale l’io si scopre e comprende se stesso, si fa presente, auto-presente, e cosciente di sé. La realtà che stiamo vivendo è la più adatta per approdare a questa sorta di “illuminazione”: noi guardiamo a ciò che ci circonda come in via di distruzione, un disfacimento inesorabile di tutto ciò che c’è sempre stato di buono, bello e vero, e dunque tendiamo a fuggire questo stato di angosciosa sofferenza individuale e collettiva perché è la negazione mortale della vita costituita; difficilmente, però, ci soffermiamo a pensare al valore escatologico ed evolutivo che tutto questo ha, riflessione che ci permette di cogliere una verità essenziale nascosta dietro il velo di maya delle apparenze. Noi tutti, l’umanità tutta, abbiamo bisogno di questa crisi integrale perché solo attraverso di essa è possibile giungere ad una umanità nuova, rinnovata, evoluta da quelle dinamiche e strutture che non sono più adatte, non perché sbagliate o fragili in sé, ma perché ormai incapaci di realizzare pienamente l’uomo. Per fare un paragone, è un po’ come se stessimo cercando di accordare uno strumento con un diapason che vibra ad una certa frequenza, mentre il nostro strumento vibra ad un’altra: bisognerà cambiare uno dei due per ritrovare la vibrazione giusta, quella necessaria per l’esito musicale.
Prendere coscienza della battaglia finale nel qui ed ora è anche e soprattutto potersi evolvere per fare la propria parte, qui ed ora. È completare il processo di affermazione della propria libertà, uscire dallo schema del sistema corruttore, promuovere e diffondere una nuova vita. Vi inganna chi propone progetti giganteschi proiettati in un tempo indefinito, in un “poi” senza precise coordinate: la vera rivoluzione parte dalla trasformazione personale di sé. Le rivoluzioni culturali, antropologiche, storiche in senso ampio, sono tali solo quando cambiano radicalmente un qualcosa nell’ordine precedentemente vigente da parte di qualcuno che, per primo, lo ha realizzato nella propria esistenza, potendolo quindi comunicare o, meglio ancora, creandolo attorno a sé; questo vuol dire che anche il nostro coraggioso progetto di cambiare il mondo, rifondare il pensiero, la cultura, la società deve passare attraverso un’idea che venga prima incarnata e, quindi, assunta a modello per plasmare la realtà circostante. Il potere, ancora una volta, è in mano a noi. Siamo noi i padroni del nostro cambiamento, noi gli esseri liberi che scrivono la Storia, noi coloro che devono compiere la missione dell’Uomo Nuovo, noi far evolvere concretamente quella che Agostino chiamava la Città dell’uomo nella Città di Dio[2]. E dobbiamo farlo qui, ed ora, liberi.
[1] https://www.huffingtonpost.it/entry/giovanni-lindo-ferretti-viviamo-un-eterno-presente-che-il-virtuale-scompone-in-infinite-solitudini_it_5f1435d7c5b6d14c336851b4
[2]Cfr. Agostino, De civitate Dei, Capp. XIII-XIV.