L’inizio della fine: il Donmilanismo, il virus pedagogico
Non si vuole demolire il mito di don Milani, magari mettendone in luce i metodi discutibili – come una scuola di dieci ore condita da ceffoni e frustate – e una concezione autocratica e dittatoriale della sua autorità sugli allievi. Ciò che si ritiene importante in queste analisi è mostrare nella Lettera il virus che avrebbe determinato la malattia del sistema educativo; malattia di cui tutti hanno consapevolezza, senza che si abbia però il coraggio di denunciarne le origini. Certo, conoscere le cause di una malattia non significa guarirne, ma è comunque un primo passo per la guarigione.
Dunque, secondo don Milani, la scuola dell’obbligo non può bocciare. L’obbligo non va inteso come un dovere sociale di apprendere quanto si ritiene socialmente importante sapere; la scuola dell’obbligo va intesa, per lui, come scuola dell’obbligo di promuovere. D’altronde, la matematica, per gli allievi di Barbiana, è “sadismo”; il latino un “vecchiume” eliminato persino a Oxford e Cambridge; Omero uno scrittore di “strane fiabe” e per di più proposto nella traduzione di Monti che “scriveva in una lingua che non era parlata neppure al tempo suo”. Già da questo insipido concentrato di luoghi comuni da ultimo della classe emerge il male della scuola italiana: al bando ogni difficoltà, tutto venga semplificato fino a ridurre la cultura a una pappa digeribile anche da chi non ha denti. E se la cultura non si presta a questa insignificante semplificazione, tanto peggio per la cultura.
Il problema, però, è che nel processo educativo si riceve solo ciò che si è dato; e si chiede poco si riceverà sempre meno, cosicché il livello dell’insegnamento richiederà un nuovo assestamento verso il basso e così via, rotolando sul piano inclinato della banalizzazione e della superficialità, che dallo studio – affrontato, non lo si dimentichi, nell’età della crescita – tracima in ogni aspetto della propria esistenza. Alla fine del precipizio non può che esserci la perdita di ogni valore culturale e la mortificazione delle intelligenze che, per crescere, hanno bisogno di ostacoli, di assaporare il gusto della sfida intellettuale e della volontà; anche se tutto ciò appare privo di un’immediata utilità, proprio come la matematica, il latino e le “favole” di Omero.