L’inquietudine del novecento


 

L’inquietudine del novecento

Di quale natura trattasi quell’inquietudine che attraversa il secolo XX, almeno la sua prima metà, da cui il titolo – Inquieto Novecento – del libro mio e di Rodolfo che fu un buon libro e che, in capitoli brevi, sintetici e non superficiali, mostrava come tanti intellettuali e alcuni di grande prestigio si fossero coinvolti nella tentazione fascista? Il libro si concludeva con la vicenda di Piero Menichetti (nella copertina, curata da Marco, veniva raffigurata la sua tragica fine), giovanissimo marò del btg. Lupo della X Mas, assassinato da sinistri figuri che l’avevano attirato sul Po, e di cui conservo la fotografia, dono del marò Franco Grazioli, e raccontatami da Vittorio Morandini, che gli fu commilitone e amico carissimo tanto da recuperarne la salma e, insieme alla madre di Piero, traslarla nel cimitero di Firenze.

Non voleva essere il nostro soltanto un omaggio a uno dei troppi, che furono presto e volutamente ignorati dalla storia ufficiale e bugiarda, di quella gioventù ardita e ardente che attraversò il secolo, con le armi in pugno e la mente ed il cuore colma di un ideale, trasformando la polvere delle strade d’Europa, lastricata dall’ignavia e dalla vergogna, in un giardino di rose recise… voleva essere appunto espressione di un sogno ad occhi aperti, una illusione forse, errori ed orrori compresi, che aveva coinvolto e le figure esemplari e anonime coscienze, simile a fiume in piena a esondare dal suo alveo naturale.

E ciò perché – e lo abbiamo scritto più volte, sebbene il suo svelamento s’imporrebbe con altra rotta e altro tempo – riconosciamo il rispetto dovuto e l’arcana e prepotente fascinazione per il linguaggio del corpo ove carne ossa e sangue ci parlano ci intrigano. (Il poeta Ezra Pound lo riconosceva accostando il primo tepore d’aprile con un pensiero lesto di Platone). Così Inquieto Novecento tratteggiava, ad esempio, il meditato pensare di Heidegger e Gentile e non s’offendeva di farvi coabitare il sedicenne Menichetti a cui, ogni 25 aprile, giovani assorti e fidenti portano un fiore sulla sua tomba.                     

Prendo dallo scaffale Il Nostro Anteguerra di Robert Brasillach e vi ritrovo il titolo di uno dei capitoli, ‘Cet mal du siècle…’. Lo scrive mentre è sotto le armi, dal settembre 1939 al maggio 1940, quando l’Europa va incendiandosi. Consapevole forse presago che quella malattia, un ardore, una passione, uno spasmo daranno voce al destino a quel plotone d’esecuzione nella mattina del 6 febbraio ’45, mettersi in gioco esserci comunque e nonostante tutto, non spettatori pavidi e distratti. E mi torna a mente – e anche di costui ho scritto sovente – quel ‘franco tiratore’, anonimo, che a Torino precede i suoi ‘giustizieri’ e, spavaldo e irridente, davanti alle bocche di fuoco avide del suo sangue, si aggiusta la giacca perché nell’estetica tragica completa l’esistenza e , per dirla con Carlo Mazzantini, va ‘a cercar la bella morte’…                                               

Di questa ‘inquietudine’ ci occorre e piace parlare, noi che apparteniamo, tenaci e fieri, al Novecento.

 

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