L’inverno dell’arte

 

L’inverno dell’arte

L’hiver ebbe inizio a primavera (!) il 10 aprile 1917, pieno conflitto mondiale, e non poteva principiare che a New York City, nuovo Grand Central Palace dove fu allestita una mostra free della Society of Indipendent Artist, versata la quota 6 $ chiunque poteva esporvi la propria opera. Monsieur Marcel Duchamp, cofondatore l’anno prima della Society col portafoglio dei mecenati Katherine Dreier e Walter Arensberg, vi spedì la sua, un orinatoio a muro modello Bedfordshir, titolato Fontaine, griffato in nero R. Mutt 1917, pseudonimo con data. Fu il vagito sgradevole dell’arte concettuale, nascosta in uno stanzino dai perplessi organizzatori, Fontana terminerà la sua parabola provocatoria, dicono, in discarica, considerata a ragione spazzatura eppure la sua immagine occupa insolente i testi di Storia dell’Arte, la sua fisicità il Centre Pompidou a Parigi.

Nel 2011 veniva pubblicato da noi L’inverno della cultura di Jean Clair, figura di grande spessore nel campo dell’Arte, saggista, critico, curatore, rara pietra d’inciampo al presente nanismo culturale le cui ombre lunghe accompagnano il tramonto di una civiltà millenaria affrontando una notte senza l’attesa messianica di un’alba, un testo amaro e controcorrente nel quale, senza mezzi termini, l’autore scrive: “siamo arrivati al crollo di una estetica e di una cultura millenaria!” Pessimismo? No, semplice constatazione.

L’arte contemporanea è spazzatura, punto, spazzatura di mercanti (autori, critici, galleristi), un prodotto a scadenza da supermarket con impresso un marchio di banalità trasgressiva o di blasfemia tanto cari al voyerisme snob, giustificati da masturbazioni concettuali incomprensibili, effimere elucubrazioni vanitose, elitarie ed arroganti, penso alla Merda d’artista in scatoletta sigillata e numerata di Piero Manzoni, al ragazzo down esposto alla Biennale veneziana del ‘72 da  Gino De Dominicis, sul quale Pasolini scrisse: “ L’ indecorosità del ragazzo esibito alla Biennale non è denuncia o disagio o sfida alle convenzioni. È semplicemente un riflesso, un vuoto attivato dal vuoto più grande che lo produce, gli offre alibi, lo assiste criticamente” e questo è il lato peggiore. Penso agli attacchi virulenti contro il cristianesimo giustificati da metafore come il Cristo nell’urina di A. Serrano o i Gesù Mc Donald’s e Ken esposti ad Haifa, l’opera deve assicurare scandalo, dissacrazione con un prodotto onanistico, fautore di cortocircuiti mediatici indispensabili a far lievitare la quotazione della merce ma nella realtà l’Arte (con la A maiuscola) è dentro la cassa di un funerale.

Siamo soffocati da orrori senza senso, installazioni da rifiuti inorganici, scarabocchi, animali impagliati o immersi in formalina, sculture di vasi rotti, i ballons di Koon, un susseguirsi di trash and kitch senza alcuna maestria in quel saper fare d’ antica bottega cui accennava nel ‘19 Giorgio de Chirico ripristinando un ponte col mitico nostro Quattrocento, connessione stabilita dal gruppo Novecento di Margherita Sarfatti. L’arte è se incarna il mistero della verità, se è strumento ontologico orientato ad essa attraversato nel tempo dall’incessante dinamica del suo svelamento e nascondimento come affermava M Heidegger, è mezzo del mezzo come il paio di scarpe dipinte da van Gogh.

Quest’arte usa e getta, quasi monouso, è cortigiana della way to business sulla quale corre velocissima la dinamica del nulla commerciale, se l’arte non indaga lo spirito, le sue manifestazioni, lasciando aperto l’uscio sull’eterno, produce feci colorate sulla materia facendosi intestino tenue di una vita unicamente biologica, diventa un guardare il mondo focalizzato solo sul suo buco del c…, me ne scuso ma diventa un rifiuto.

Appropriato ci sembra allora citare un aforisma dell’australiano Robert Hugues, critico reazionario, un bulldog tosto più di Clair (rifiutò di dirigere la Biennale): Odio questi figli di buona donna che hanno le facce di tejere d’argento Sotheby’s, questo supermercato d’una pseudo religio dell’arte, che s’interseca fatalmente con l’ipocrisia sociale. Mentre io penso davvero che l’arte deve essere mistica, visionaria”. L’artista ha il compito sacro di pensare e agire in verticale altrimenti la sua opera è o propaganda o pubblicità per consumatori, cioè il vuoto.

Immagine: Marcel Duchamp, Fontaine (Urinoir), 1917

 

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