L’ inverno della democrazia: excursus storico
Guy Hermet, storico della democrazia e del populismo, è certamente un pensatore politicamente scorretto quindi un pensatore “forte”. Le sue riflessioni su un sistema politico come quello democratico-rappresentativo, in piena crisi tanto da dover riesumare antichi nemici per darsi un’apparenza di attualità, meritano di essere ancora meditate.
Innanzitutto Hermet ci consente di sgomberare un equivoco linguistico ancora perdurante: quando parliamo dell’attuale sistema, non dobbiamo confonderlo con la democrazia quale la intesero gli ateniesi che la inventarono. Nell’antica Grecia, infatti, il termine intendeva essenzialmente l’eguaglianza tra governanti e governati, cosicché era assolutamente funzionale il sistema di estrazione a sorte o della rotazione delle cariche (la competenza si risolveva con l’assistenza di tecnici, anche schiavi preparati).
Il successivo sistema delle elezioni venne giudicato negativamente dagli ateniesi che vi videro una distinzione sistematica tra un minuscolo popolo attivo e un vasto popolo passivo. Insomma appariva un sistema non democratico perché concedeva un vantaggio ai più istruiti, ai più abili, ai più ricchi. Se gli ateniesi avessero conosciuto la nostra democrazia che si basa su un sistema di delega totale, probabilmente l’avrebbero derubricato tra le forme di aristocrazia ereditaria.
Platone vide questi errori e denunciò nella democrazia degenerata l’attentato alla stessa sopravvivenza della comunità politica in virtù della priorità data all’immediatezza, al vivere alla giornata secondo le esigenze popolari eccitate dai demagoghi. Diversamente la pensava Aristotele, più pragmatico, ma non ateniese, per il quale, comunque, il miglior regime era quello misto aristocratico-democratico nel quale la sovranità non si incarnava nel popolo, ma nella legge che non poteva essere mutata in base agli umori del momento. Per molto tempo, del resto, il popolo venne tenuto alla larga dal voto dagli stessi regimi che si dicevano democratici e proclamavano la sovranità popolare, nuovo sovrano dopo quello di diritto divino; ma niente li spaventava più del popolo e perciò restringevano il diritto di voto al censo.
La rivoluzione francese del 1848 ha offerto la prima verifica dell’opportunità del suffragio e da essa è uscita la dittatura bonapartista. Al suffragio universale i regimi democratici si sono convertiti per timore, per opportunismo, barattando il voto con le insurrezioni che venivano sostituite da un meccanismo di regolazione dei conflitti che ha disinnescato il rancore generato dalle disuguaglianze, che venivano lasciate sussistere. Il suffragio universale si è banalizzato solo dopo la Grande Guerra, quando divenne pericoloso tenerne fuori milioni di ex soldati mobilitati per anni; per questo la democrazia non si è più basata sull’uguaglianza dei beneficiari dei diritti politici e giuridici, per identificarsi con lo stato assistenziale che dispensava aiuti sul piano materiale per compensare la diseguaglianza reale.