L’inverno della democrazia: la postverità
La religione democratica deve sostituire il dogma alla realtà, come tutti i culti. Deve essere presentata come assoluta ed eterna, esattamente come le monarchie assolute di diritto divino. Deve controllare la memoria storica affinché non emergano i caratteri storici e quindi relativi, a tempi e bisogni, dei sistemi democratici. Bisogna promettere diritti umani a iosa, tanto non costano niente restando, quasi sempre, parole coniugate con il tempo all’ottativo. Soprattutto, occorre controllare le parole, immunizzarle con il preservativo delle virgolette: straniero, immigrato, inciviltà, etnia, possono essere scritte solo con il preservativo. Per immunizzare il conflitto – probabilmente inevitabile quando il sistema collasserà su se stesso – occorre criminalizzarlo continuamente ed evitare tutto ciò che può innescarlo. Trasgredire i comportamenti attesi espone il colpevole a un ostracismo verbale e sociale, in attesa dell’approvazione di leggi liberticide che vengono auspicate in difesa di una democrazia che, per aver paura di parole, atteggiamenti, scelte personali, evidentemente non è così sicura delle sue sorti meravigliose e progressive. Le accuse di razzismo, fascismo, antisemitismo sono sempre pronte all’uso per sterilizzare il campo verbale da ogni opinione diversa da quella dominante; la dittatura del politicamente corretto è sempre più repressiva perché si avverte come sempre più minoritaria. La realtà si fa largo, infatti, a prescindere dai desiderata delle tirannidi, che ostinatamente creano senza pudore una storia di fantasia, piegata alla curvatura ideologica e di parte politica. È la postverità come nuovo confine della riscrittura della storia al servizio del Grande Fratello, per cui si può con sprezzo del ridicolo, esporsi in dichiarazioni che un tempo sarebbero state tacciate di crassa ignoranza e che oggi sono accolte, dai servitori del politicamente corretto, con entusiasmo. Ne costituisce un esempio, a parte recenti dichiarazioni, l’accusa di populismo, termine di cui la totalità dei politici, che lo usano come nuovo manganello, ignora il significato concettuale e la storia. Resta da vedere se quest’epoca di neoassolutismo democratico e questo civismo repressivo si manterranno nel momento in cui la democrazia intesa come governo aperto verrà definitivamente seppellita. I prodromi si avvertono ogni qualvolta il popolo ha l’ardire di contraddire la volontà delle élite, quando si accusarono gli inglesi che votarono per la fuoriuscita della Gran Bretagna dall’Ue di essere campagnoli ignoranti e persino anziani, a sottolineare che non avevano il diritto di prendere decisioni per il futuro. O come i radical chic nostrani che accusavano gli elettori di una parte politica di farsi suggestionare da trasmissioni nazionalpopolari, dimenticando che una cultura nazionalpopolare era stata invocata da Gramsci. Per il momento, però, l’assolutismo democratico ha generato un nuovo ordine morale che deprogramma l’universo mentale delle persone per orientarlo in direzione di determinati valori programmati dalle élite: per cui, oggi, tradire il coniuge, non è percepito come una cosa grave, non come abbandonare il proprio animale domestico. Per radicare questi nuovi valori occorreva però un nuovo lessico. Accanto al manganello della postverità, l’olio di ricino della neolingua.