L’onore bambino

 

L’onore bambino

L’aria e l’acqua e la terra e il fuoco, quattro gli elementi a fondamento, tanto cari al filosofo Empedocle che ne discettava all’ombra dell’Etna e contemplando l’azzurro intenso del mare, prima di abbandonare un sandalo al bordo del cratere e accedere al cielo (i pedanti e maligni a lui avversi sparsero la voce che fosse caduto, incauto, nella voragine). Quattro gli elementi e la vita e la morte nascono dal loro integrarsi o dissolversi. E sempre essi tornano e ci ricordano il senso della nostra esistenza lungo il corso del tempo e in orizzonti apparentemente i più distanti.                                         

“Le radici profonde non gelano mai”, sosteneva Tolkien. Anch’esse necessitano terra solida ove avventurarsi e rendersi forti. Solstizio d’inverno, intorno al fuoco, in piedi e a braccia in posizione di riposo, fluire il canto “La terra dei Padri, la Fede immortal” e in attesa del risorgere del Sole.

Tirteo, maestro di scuola, zoppo, innamoratosi di Sparta, ammoniva in versi di essere ben saldi sul terreno di battaglia non esitare ben ferma la lancia e lo scudo. Vana ogni impresa se non arde in noi, nella mente e nel cuore, sacro il furore d’esserci… Terra e fuoco, dunque. Il vento e l’acqua della fontanella da buoni amici a conversare in un giardino della periferia, l’uno ricordando d’essere ovunque presente, anche sollevando coperchio di una scatolina di fiammiferi, l’altra di tramutare le nuvole in pioggia o scorrere dai monti verso il piano. Aria ed acqua, dunque. Ad ascoltarli, seduto su una panchina, l’Onore. Un fanciullo dai capelli mossi e gli occhi chiari. Timido. Quasi un sussurro ad ammonire: “Fate attenzione a non distrarvi perché, se mi perdete anche una sola volta, poi non mi troverete più” …  

(7 gennaio, anniversario di Acca Larentia. Ho disertato. Quel sangue di tutti noi s’è trasformato in un pretesto in una pretesa, beghe polemiche guitti. Nella mente nel cuore rimane muto il Presente!… E questa piccola favola sull’Onore bambino). 

Mi raccontava don Ciccio (Franck Tre Dita), mentre si passeggiava avanti e indietro nel piccolo cortile di Regina Coeli, come assistesse all’Opera dei Pupi da bambino e il povero puparo fosse costretto, assediato da adulti e bambini, a modificare il finale e punire del tradimento Gano di Maganza. L’Onore – e solo questo contava – doveva essere salvo e misura del giusto ordine fra gli uomini e in natura. E, senza i suoi doni, come poetava Brasillach, né la gaiezza né il coraggio.

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