La parte di umanità che, sollevando lo sguardo al cielo, vede nuvole oscure muoversi sopra le proprie teste, pare dividersi tra coloro che non scorgono più neanche uno spicchio di azzurro e attendono la fine confidando nell’intervento di “truppe celesti”, e coloro che si adoperano pieni di zelo, speranzosi che il vento ripulisca il cielo da queste ombre di pioggia per i luminosi tempi che non tarderanno a tornare.
Ai primi è necessario ricordare che per quanto il cielo chiami già tempesta, questa non durerà il correre di un pomeriggio estivo e sarà molto più devastante di quanto pensino. E poiché sono le opere che parlano per noi – essendo la materializzazione dei nostri pensieri – ogni azione lasciata intentata ci verrà caricata come colpa, l’ultimo giorno; bisogna però affrontare i rischi dell’inusitato, superando i limiti dell’immaginazione, senza accontentarsi di “operazioni a portata di mano” prese dal bagaglio della memoria.
Ai secondi, per non sembrare troppo crudele, posso solo augurare che finalmente aprano gli occhi, se non altro, almeno nell’ora ultima. Con gli sciocchi che si credono saggi e volenterosi, non serve sprecare il fiato. La realtà educa più di mille parole, e quella che si prepara ha l’aspetto tragico e iniziatico al tempo stesso.
L’uomo moderno vive nella paura, lo si vede dalla sua ossessione per il controllo. Fieramente alla guida del suo destino, non se lo lascerebbe scompaginare da nessuno. Lui è l’artefice tanto delle sue vittorie che dei suoi fallimenti. Bisogna però andare al fondo di questa paura che è radice dei mali che ci irretiscono; bisogna darle il suo nome: l’ombra.
Guardate le mille luci delle città proiettarsi sino al cielo; sembrano voler scacciare via l’oscurità, come un male che non si deve palesare ai nostri occhi. Tutto deve essere manifesto, l’intimità diviene spettacolo, misera, pubblica oscenità. La parola si fa chiacchiera assordante vomitata dalle bocche non più in grado di trattenerla. L’orrenda musica contemporanea ci stordisce di continuo nascondendoci il vuoto delle nostre solitudini; ha terrore di trovare il suo compimento nel silenzio, là dove ella scomparirebbe in un nulla sena fine. Questa è ciò che, orgogliosi, tutti chiamiamo civiltà del progresso. Una civiltà che ha eliminato il viaggio nell’ombra, poiché tutto deve essere lineare e chiaro. Il mio lavoro, il mio titolo, il posto sicuro nella mia conventicola, anche “religiosa”, purtroppo. Ma il Re siede ancora sul trono, anche se noi non lo scorgiamo più, ed esso mantiene saldi i confini del suo regno, dal primo bagliore del giorno, all’alba successiva, passando per il buio della notte. Luce e oscurità abitano entrambi dentro al regno. Esso tutto contiene, perché tutto appartiene. Noi ci troviamo sul limitare dell’oscurità, barcollanti nella nostra ingenua sicurezza. Il vermiglio e le sfumature d’ambra si scuriscono. L’ora blu sta colorando il cielo da parte a parte e corre veloce verso la notte. Più cerchiamo di evitarla, più essa ci sorprenderà gettandoci nel terrore.
Senza dolore non c’è consapevolezza e il dolore è l’inizio del viaggio. Nella vita di ciascuno esso si presenta numerose volte sotto forme diverse. Una sconfitta, una malattia, un lutto. Sempre un’umiliazione dell’ego. Finché noi non la accogliamo, essa continua a bussare. Ci dice che dobbiamo lasciare la nostra casa, nostro padre e nostra madre, perché solo così andremo incontro al nostro destino. Dobbiamo lasciare il mondo di certezze che abbiamo costruito intorno a noi, anche le certezze “spirituali”; anzi queste sono proprio le più pericolose!
Vi è però anche un altro modo in cui la Vita ci viene amorevolmente incontro, ed è attraverso l’Arte. La grande Arte, infatti, non nasconde il male, semmai lo trasfigura, che è cosa assai diversa. I draghi e gli stregoni abitano il suo universo, e sono indispensabili! Davanti ad un capolavoro, se manteniamo la giusta disposizione interiore, ci sentiamo inermi, piccoli. Esso ci schiaccia perché raggiunge le stanze segrete dell’anima e ci indica il passaggio verso l’ombra. Dalla tragedia greca fino agli ultimi lampi del genio contemporaneo, l’Arte assolve ad una funzione catartica. Ci fa attraversare il sottosuolo dell’anima, prima di rincuorarci con le splendenti vette. Ci purifica col fuoco, scrostandoci da tutta la polvere del nostro confortevole ego. Ma noi moderni, le abbiamo voltato le spalle, così come si coprono le ferite con il vestito più bello. La maschera che indossiamo è la più grottesca delle gabbie. Per noi, il viaggio non è mai iniziato e le conseguenze saranno tragiche!
Davanti alle forze della sovversione che ogni giorno di più conquistano lande e città, non si alza che la voce netta e forte di pochi raminghi. Tutti gli altri giacciono dormienti, chiusi nella loro torre. Bisogna abbattere i portoni, rompere gli schemi, ma prima è necessario aver intravisto il Graal, essersi affacciati nell’oscurità dell’anima. Bisogna lasciarsi cadere per rialzarsi. E il coraggio si palesa nella caduta. Là dove ci si smarrisce nella selva oscura e le fiere sono pronte a sbranarci. Vogliamo conservare la speranza che prima che il blu venga inghiottito dal nero cielo, qualcuno si desti e inizi il viaggio. È un atto di salvezza non solo per la sua anima, ma per l’umanità intera, per alleviare un po’ le sofferenze, che saranno certo inevitabili.
In ogni caso, sappiamo che le tenebre non tarderanno a venire, perché per accendere i fuochi, deve venire la notte. L’uomo non è pronto, non ha imparato a vegliare, non ha acceso il suo fuoco interiore. Lo deve sorprendere la notte e spalancargli gli occhi col terrore e l’angoscia. Verranno il dolore, il fuoco e il sangue. Il dolore è la porta per la consapevolezza. Le fiamme sono il lavacro della purificazione. Il sangue è la comunione finale. Non tutti però completeranno la prova, perché essa sarà tremenda, seppur assolutamente necessaria. La bilancia del cosmo deve tornare sempre in pari. Ogni bersaglio mancato – il genuino significato del peccato – conduce all’espiazione, anche collettiva. Ma tutti coloro che sono sulla soglia, risvegliati da un bagliore a cui non sanno ancora dare un nome, li invitiamo, con fraterna fiducia, ad avventurarsi nella foresta, a lasciare tutto e seguire l’immagine della loro anima che hanno solo intravisto. Solo così si diventa eroi, e di questi uomini abbiamo bisogno, prima che giunga l’ora più buia.