La Biblioteca del Pensiero Forte: Vom Kriege di Carl von Clausewitz

 

La Biblioteca del Pensiero Forte: Vom Kriege di Carl von Clausewitz

“Il combattimento sta alla guerra come il pagamento in contante sta al commercio”; con questa intuizione interessante Engels riassumeva in una lettera inviata a Marx il 7 Gennaio 1858 le impressioni che la lettura del “Vom Kriege” di Von Clausewitz aveva suscitato in lui.

 Il testo di Von Clausewitz, maggiore dell’esercito prussiano durante le guerre napoleoniche, non ha mai attraversato il guado del “classico”, rimanendo sempre un testo sì letto ed indimenticato (imprescindibile, ad esempio, nel curriculum delle scuole militari sovietiche) ma anche molto meno famoso di altri testi dal taglio in realtà molto diverso, come l‘Hagakure di Tsunetomo o “l’arte della guerra” di Sun Tzu.

 Questa debolezza fornisce anche, forse, uno spunto per capire la grandezza di Von Clausewitz. Egli innanzitutto non ha, come Sun Tzu, un retroterra sapienziale solido. Il “Vom Kriege” esce nel 1832, in decenni di parziale calma europea, che in realtà già prepara il 1848 e quindi la fine della luna di miele tra reazione viennese e civiltà europea. Von Clausewitz è sì dentro una tradizione militare nobilissima (quella prussiana), ma non vuole consolidare, bensì stravolgere. Il testo che propone è, quindi, fondato sullo squilibrio e sull’ansia di capire una guerra che si è intravista nell’epopea napoleonica ma che non si è davvero capito. Di più: a Von Clausewitz non importa comporre un vademecum sul guerriero, o formare buoni generali. Al Maggiore prussiano interessa la Guerra come oggetto filosofico, come epitome dello Scontro. “Guerra madre di tutte le cose” diceva Eraclito: a questa guerra si rivolge Von Clausewitz.

 Per tutti questi motivi forse Von Clausewtiz diventerà una lettura prediletta di Lenin, che non vi leggerà soltanto il famoso apoftegma “La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi” ma anche un superbo sforzo di razionalizzazione e filosofizzazione della guerra come stato dell’umanità e come flusso dell’essere, e non soltanto come occorrenza storica. L’illeggibilità di Von Clausewtiz come semplice esperto di Militaria ne costituisce, si diceva, tanto l’indigeribilità quanto la sua persistenza. Il canovaccio clauswitziano della guerra come oscillazione violenta tra estremi di difesa ed attacco, di entrata nel terreno (filosofico) nemico e ritirata (intellettuale) dal proprio è una chiave di lettura fecondissima che unisce la Germania delle armi e la Germania dei filosofi. In un unico affresco due delle trame dell’Europa (l’esercito e l’Accademia) stanno assieme.

 Il “Della Guerra” di Carl Von Clausewitz è pertanto utile all’europeo ed al cultore del Pensiero Forte perché egli vi ritrova molto del DNA della sua terra culturale. E lo trova utile, soprattutto perché nel suo parlare di cose ben oltre la guerra, nel suo essere opera di raffinazione hegeliana, è una strettoia instruttiva. Insegna al lettore attento a ragionare in termini di potenziale, di collasso, di ritorno, di stiramento, di penetrazione e di esaurimento: le categorie e gli arnesi che salvano gli intellettuali nelle temperie del mondo.

 Più ancora di questo Von Clausewitz insegna a respingere la faciloneria e la grettezza con cui si legge la guerra di per sé, come ammoniva Mao, che consigliava a tutti di interrogarsi sul reale concetto di “fine” e di “mezzo” applicati ad uno scontro. Ed anche, ci si permetta, per demistificare la guerra, in certa sottocultura autonomizzata e tolta dal suo alveo di strumento, di fatto filosofico e non di semplice vetrina di aretè. Il patriota dotato di Pensiero Forte deve essere lucido e privo di miti incapacitanti: Von Clausewtiz può ben aiutarlo in questo percorso.

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