La bolla della violenza

 

 

La bolla della violenza

La sinistra soffia forte nella bolla della violenza, insuffla odio nel suo palloncino moscio post elettorale, sguinzaglia “intellettuali organici” sui media, gli Arbeiter disegnati da Marx, forgiatori della coscienza di classe, motore dell’assalto proletario alla borghesia, oggi aristocratici iper borghesi firmati, ministri consacrati della religione progressista, gridano dal Manifesto rivisto: “Progressisti di tutto il mondo unitevi” oltre le classi sociali, fluide, interconnesse, contaminate dal materialismo, comun denominatore a liberismo e comunismo.

Già Lenin allargò la platea delle alleanze per lo scontro con l’arretrato Stato zarista, proletari, contadini, piccola borghesia, ma con lo scorrere dei decenni la rivoluzione ha saldato al materialismo storico tutte o quasi le componenti del tessuto sociale spazzando via i “falsi idoli” della Tradizione, sovrastrutture irrazionali (le Überbau) organiche alla repressione dell’uomo, al suo cheto asservimento ai poteri economici, gli unici che governino lo Stato.

La liberazione dalle catene ha due pilastri, uguaglianza e universalità, colonne portanti del globalismo, tutto per tutti (ma quando mai!) e in proposito mi sovviene un diverbio dialettico con un parlamentare ex P.C.I., scelta di campo, global – no global al tempo degli scontri di Genova, mi confrontai, con ingenuo stupore, con un sì global di ferro.

Quel che è accaduto alle urne il 25 settembre scorso ha prodotto però una lacerazione improvvisa nel processo di omogenizzazione delle masse, allarmando gli illuminati del capitalismo occidentale, i liberal narcisisti sposi e spose nel talamo marxista, conclusa la fase di transizione, c’era l’avvento della liberazione da ogni struttura repressiva, fine dello Stato, direzione e verso, il nulla.

Eh sì, in concreto la lunga marcia dell’Utopia materialista sfocerà proprio nel nulla individuale moltiplicato per masse informi, la trinità laica, scienza, tecnica, economia, sta già plasmando un’umanità acefala, sottomessa a pochi illuminati produttori di beni e di un pensiero soffice, volatile, cangiante secondo contingenza.

La temuta perdita di potere ha partorito una rabbia bavosa che latra e pigia i tasti dell’insulto, dell’aggressione mediatica virulenta, a tamburo battente, l’ascia di guerra è dissotterrata rispolverando l’unica arma trovata nella bisaccia vuota, l’antifascismo militante, lama che da ottant’anni divide in trincee l’Italia scomunicando ogni riconciliazione nazionale.

Senza l’accettazione simbolica di questo atto di alta sartoria politica, la democrazia autentica, per noi italiani, resta utopia pur in un contesto di estrema crisi per il Paese frustato in tutti i suoi settori dalla pandemia saldata al conflitto ucraino con la bolla caro energia; questo imporrebbe, da subito, una formazione a testuggine di componenti politiche, sindacali a evitare mine economiche e sociali.

E così sfruculiando nei lontani studi classici, m’è ritornato a mente l’apologo di Menenio Agrippa, 494 a. C., tutt’ora attualissimo, rivolto ai ribelli della plebe radunatisi sul Monte Sacro, ipse dixit Una volta, le membra dell’uomo, constatando che lo stomaco se ne stava ozioso […], ruppero con lui gli accordi e cospirarono tra loro, decidendo che le mani non portassero cibo alla bocca, né che, portatolo, la bocca lo accettasse, né che i denti lo confezionassero a dovere. Ma mentre intendevano domare lo stomaco, a indebolirsi furono anche loro stesse, e il corpo intero giunse a deperimento estremo.”

Morale: la secessione delle membra d’un corpo contro le altre cagiona la morte del corpo stesso comprese le parti insorte, la plebe romana cessò allora la protesta, ottenne l’istituzione dei tribuni eletti da una propria assemblea il concilium plebis le cui delibere avrebbero avuto forza di legge.

La riconciliazione seguita all’intervento di Agrippa, nell’Italia odierna cade in un buco nero o meglio rosso, la confusione frulla menti et verba di politici infantili incazzati a morte, il populismo (dicono) gli ha sottratto il giocattolo più bello, redditizio, luccicante, il potere. La grande rete di ragno filata per anni, la “borgatara” con lo scovolo l’ha tirata via, il ragno adesso, rifugiatosi all’angolo ha ripreso a filare tirando fuori dalle papille un filo antico, più robusto della seta, collaudato nei decenni trascorsi, lo scontro frontale a tutto campo, in ogni stanza, un’amnesia voluta (?) di quel clima rovente che trovò tragica risposta negli anni ‘70.

Lo spirito unitario del Risorgimento è stato ucciso da decenni già sui banchi di scuola, “la Patria è morta” griderebbe il “folle uomo” della Gaia Scienza, facciamocene una ragione.

La sinistra soffia forte nella bolla della violenza, insuffla odio nel suo palloncino moscio post elettorale, sguinzaglia “intellettuali organici” sui media, gli Arbeiter disegnati da Marx, forgiatori della coscienza di classe, motore dell’assalto proletario alla borghesia, oggi aristocratici iper borghesi firmati, ministri consacrati della religione progressista, gridano dal Manifesto rivisto: “Progressisti di tutto il mondo unitevi” oltre le classi sociali, fluide, interconnesse, contaminate dal materialismo, comun denominatore a liberismo e comunismo.

Già Lenin allargò la platea delle alleanze per lo scontro con l’arretrato Stato zarista, proletari, contadini, piccola borghesia, ma con lo scorrere dei decenni la rivoluzione ha saldato al materialismo storico tutte o quasi le componenti del tessuto sociale spazzando via i “falsi idoli” della Tradizione, sovrastrutture irrazionali (le Überbau) organiche alla repressione dell’uomo, al suo cheto asservimento ai poteri economici, gli unici che governino lo Stato.

La liberazione dalle catene ha due pilastri, uguaglianza e universalità, colonne portanti del globalismo, tutto per tutti (ma quando mai!) e in proposito mi sovviene un diverbio dialettico con un parlamentare ex P.C.I., scelta di campo, global – no global al tempo degli scontri di Genova, mi confrontai, con ingenuo stupore, con un sì global di ferro.

Quel che è accaduto alle urne il 25 settembre scorso ha prodotto però una lacerazione improvvisa nel processo di omogenizzazione delle masse, allarmando gli illuminati del capitalismo occidentale, i liberal narcisisti sposi e spose nel talamo marxista, conclusa la fase di transizione, c’era l’avvento della liberazione da ogni struttura repressiva, fine dello Stato, direzione e verso, il nulla.

Eh sì, in concreto la lunga marcia dell’Utopia materialista sfocerà proprio nel nulla individuale moltiplicato per masse informi, la trinità laica, scienza, tecnica, economia, sta già plasmando un’umanità acefala, sottomessa a pochi illuminati produttori di beni e di un pensiero soffice, volatile, cangiante secondo contingenza.

La temuta perdita di potere ha partorito una rabbia bavosa che latra e pigia i tasti dell’insulto, dell’aggressione mediatica virulenta, a tamburo battente, l’ascia di guerra è dissotterrata rispolverando l’unica arma trovata nella bisaccia vuota, l’antifascismo militante, lama che da ottant’anni divide in trincee l’Italia scomunicando ogni riconciliazione nazionale.

Senza l’accettazione simbolica di questo atto di alta sartoria politica, la democrazia autentica, per noi italiani, resta utopia pur in un contesto di estrema crisi per il Paese frustato in tutti i suoi settori dalla pandemia saldata al conflitto ucraino con la bolla caro energia; questo imporrebbe, da subito, una formazione a testuggine di componenti politiche, sindacali a evitare mine economiche e sociali.

E così sfruculiando nei lontani studi classici, m’è ritornato a mente l’apologo di Menenio Agrippa, 494 a. C., tutt’ora attualissimo, rivolto ai ribelli della plebe radunatisi sul Monte Sacro, ipse dixit Una volta, le membra dell’uomo, constatando che lo stomaco se ne stava ozioso […], ruppero con lui gli accordi e cospirarono tra loro, decidendo che le mani non portassero cibo alla bocca, né che, portatolo, la bocca lo accettasse, né che i denti lo confezionassero a dovere. Ma mentre intendevano domare lo stomaco, a indebolirsi furono anche loro stesse, e il corpo intero giunse a deperimento estremo.”

Morale: la secessione delle membra d’un corpo contro le altre cagiona la morte del corpo stesso comprese le parti insorte, la plebe romana cessò allora la protesta, ottenne l’istituzione dei tribuni eletti da una propria assemblea il concilium plebis le cui delibere avrebbero avuto forza di legge.

La riconciliazione seguita all’intervento di Agrippa, nell’Italia odierna cade in un buco nero o meglio rosso, la confusione frulla menti et verba di politici infantili incazzati a morte, il populismo (dicono) gli ha sottratto il giocattolo più bello, redditizio, luccicante, il potere. La grande rete di ragno filata per anni, la “borgatara” con lo scovolo l’ha tirata via, il ragno adesso, rifugiatosi all’angolo ha ripreso a filare tirando fuori dalle papille un filo antico, più robusto della seta, collaudato nei decenni trascorsi, lo scontro frontale a tutto campo, in ogni stanza, un’amnesia voluta (?) di quel clima rovente che trovò tragica risposta negli anni ‘70.

Lo spirito unitario del Risorgimento è stato ucciso da decenni già sui banchi di scuola, “la Patria è morta” griderebbe il “folle uomo” della Gaia Scienza, facciamocene una ragione.

 

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