La classe operaia è all’inferno


 

La classe operaia è all’inferno

Cinquant’anni or sono, nel 1971,  usciva sugli schemi “La classe operaia va in Paradiso”, regia di Elio Petri, musica di Ennio Morricone, analisi corrosiva sulla vita alienante in una fabbrica metalmeccanica, un muro da abbattere (lo sfruttamento al ritmo crescente di produrre) o scivolare nella follia, erano gli anni della grande guerra sindacale. Partita nel ‘69 col lungo “autunno caldo” per il rinnovo contrattuale di centinaia di migliaia di operai dell’industria italiana, di fatto aveva dato una spallata al trapezismo politico, parlamentare e di partito, infrangendo gli equilibri precari tra capitalismo e classe operaia. Armi letali lo sciopero, le manifestazioni oceaniche, lo scontro nei consigli di fabbrica l’occupazione degli stabilimenti. Sul tavolo non c’erano solo i contratti collettivi nazionali di lavoro, molto di più, il diritto alla casa, la sicurezza e salute dei posti di lavoro, l’ambiente, i trasporti, la piena attuazione dello Statuto dei lavoratori del 1970. 

Nel clima di conflitto sociale, l’universo cattolico post conciliare abbracciò l’opzione degli ultimi, gli sfruttati, i senza voce, le braccia produttive del Paese, questo nuovo sentiero sbucò dalla nebbia del peccato è scioperare e si incontrò con la via marxista delle lotte operaie così la triplice sindacale prese il comando della lunga marcia di riforma radicale del Paese, pareva a un niente la conquista del potere cantando Contessa di Paolo Pietrangeli.

Mai come in quegli anni del dopoguerra i compagni dei campi e delle officine avevano scalato i gradini dell’inferno guadagnandosi il paradiso tra le classi sociali, l’aristocrazia non era più borghese ma proletaria, la rivolta delle tute blu aveva rovesciato il sistema dei valori, le masse  operaie unite sfondavano a testuggine il castello dei signori. I metalmeccanici a Torino e Milano inneggiavano al diritto di sciopero, all’unità di classe contro i padroni e da Roma s’alzava l’urlo: “Contratto o rivoluzione” a seguire lo slogan ”Lotta dura senza paura”.

Ma quel capitalismo conteneva già due germi virali per la classe operaia, il processo di globalizzazione dei mercati collegato alla strategia diffusiva delle multinazionali, l’industria “domestica” non reggeva la concorrenza, sui prezzi dei prodotti incidevano troppi fattori, costo delle materie prime, energia, mano d’opera, fisco, ecc. Le Società presero a delocalizzare le produzioni in Paesi comodosi per incentivi, bassi salari, orari di lavoro, approvvigionamento materiali, quant’altro servisse a vincere gli squali del mercato alzando l’asta dei profitti.

Per reggere lo scontro coi colossi servivano capitali freschi aprendo a partner stranieri, la “mia azienda” conosce il noi e poi il voi, pronomi di scatole cinesi, investitori=broker finanziari, privatizzare è il verbo magico accompagnato dalle famigerate tre “e”, economicità, efficacia, efficienza. trimurti per cogliere obiettivi sempre più alti fissati dall’azienda, su questo target si giudica il singolo lavoratore, i reparti, l’impresa stessa.

La stagione dei diritti, man mano, è diventata archeologia antropologica, l’unità di classe un vaso in mille pezzi, tutti contro tutti a salvaguardia del posto di lavoro, al cottimista ribellato Lulù del film di Petri s’aprì la porta del licenziamento. Con chi fare a cazzotti, le Società multinazionali non hanno corpo, volto, fantasmi inafferrabili, la fabbrica è qui, la sede legale là, la fiscale dove conviene. Comprano azioni entrando da serpi in fabbrica, riconvertono la produzione tagliando posti, analizzano al cent. il rapporto costi/profitti, si può far meglio altrove? Chiudono licenziando con un’app tipo Skipe come successo agli addetti al magazzino Logista nell’agosto scorso o a quelli di Caserta della multinazionale americana Jabil, vuoi mettere ci si risparmia un sacco in viaggi, voli, persino in francobolli, modello film Tra le nuvole con George Clooney.

Alcoa, Whirlpool, Gkn, Timken, Embraco, Acc Wanbao, Bekaert e tante, troppe, altre multinazionali modello mordi e fuggi, governi inconcludenti, inefficaci, inefficienti, i cancelli chiudono, gli operai manifestano, occupano, lottano ma sanno d’essere stati ri-scaraventati all’inferno coi suoi gironi  liberisti, lasciando inoltre sul campo le tante “morti bianche”, 772 gennaio-agosto 2021 (dati INAIL). 

E i sindacati di quella lunga marcia? Beh le mobilitazioni oceaniche si fanno solo per battere l’imminente pericolo fassista…

Com’è lontano il sindacalismo rivoluzionario di Filippo Corridoni caduto alla “trincea delle frasche” sul Carso a ottobre del 1915.

Immagine: https://www.huffingtonpost.it/

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