La coscienza infelice è come il maiale, non si butta via nulla
In questi tempi disastrati la figura dell’imprenditore illuminato, che decide di destinare parte dei suoi proventi a scopi percepiti come etici, è diventato uno dei quattro/tre archetipi fondamentali.
Qualche decennio addietro era il semplice “creare lavoro” la beneficenza che l’imprenditore elargiva agli altri. Era una forma di consolazione sociale più raffinata di quella americana perché presupponeva che non fosse di per sé sufficiente essere ricchi per essere morali, ma che tale ricchezza fosse, in qualche misura, socializzabile. Una finzione più raffinata e articolata di quella americana, ma pur sempre una finzione. Olivetti Vs Buffett.
Dopo il 2008 non è più sufficiente e bisogna allora anche dimostrare di piazzare una parte dei propri guadagni in luoghi di frontiera. È una forma di riciclaggio morale. La riproduzione morale del multimiliardario non è più automatica ma per continuare ad avere cittadinanza etica si fa transitare la ricchezza in luoghi di per sé positivi con la capacità di dignificare. Miseria e nobiltà. Berlusconi comprava e glorificava il Milan per costituirsi ente morale, Cucinelli ricostruisce Borghi medievali, Musk investe in ricerca.
È il segno di una umanità (almeno in Europa) un po’ meno addormentata di prima. A Cucinelli, Gates e Musk si richiede di fare almeno un po’ “Give back” di ciò che la società gli ha concesso. Briciole indubbiamente, ma non è pessimo che si stia faticosamente uscendo dalla ricchezza come elemento autolegittimante.
Gli Scrovegni, banchieri e usurai, commissionarono a Giotto la omonima cappella, nella quale vollero fortemente autodenunciare sé stessi, un modo psicologicamente studiato in modo approfondito per espiare colpe. Non era privo di senso: significava che la ricchezza diventava più esigente, più forte, perché erigeva cappelle in centro alla città, ma parimenti raccontava di elites economiche oberate di coscienza infelice.
D’altronde, in una analisi storica del legame “morale” e “imprenditore” emerge come la strategia occidentale e cristiana di moralizzare l’attività imprenditoriale sia stata a suo modo funzionale. Mentre in Asia l’accumulazione primaria (1850 – 1950) e secondaria (1950 – 1970) fu realizzata con una fortissima intenzione di governi centrali, coloniali o autonomi che fossero, in Occidente nel ‘700 ed ‘800 la società chiese come partita di giro all’arricchimento personale la sua redistribuzione parziale in nome della morale cristiana, nella sua forma protestante di charity e in quella cattolica di lasciti alle opere pie della Chiesa. La società usava insomma la morale come protesi di controllo (relativo) della circolazione di ricchezza perché essa fosse più efficace di quanto non sarebbe stata senza controllo sovrastrutturale.
Adesso la morale cristiana, divenuta in parte inservibile allo scopo, è stata sostituita da surrogati laici. Ma a causa della differente strutturazione sociale della richiesta dei ceti bassi, il “Give back” non può più essere un semplice flusso di trasferimento di risorse dai pochi e ricchi ai tanti medio-poveri. La necessità di incanalare questa ricchezza dove, anche in ottica di libero mercato, può avere più valore lenitivo (ricerca di base, educazione diffusa, urbanizzazione razionale ecc) necessiterebbe di ben altri sistemi, molto invasivi, verso i quali il Capitale privato non può accondiscendere. Di qui la singolare condizione attuale: una grande borghesia sempre più attenta recalcitra sempre più contro uno stato sempre meno invadente.
Pertanto: è notizia corrente che il mondo abbia un debito privato + pubblico del 250% del Pil mondiale. Buona parte di questo debito, nei fatti, ha come creditore l’umanità futura, e rischia seriamente di divenire inesigibile soprattutto se cambiamenti climatici e sviluppi ineguali cominceranno a distruggere più mezzi di produzione di quanti ne creino.
Non è quindi privo di senso riflettere sulla esatta natura del Capitale internazionale, anche in senso morale (cioè riflettere su quale morale e quale etica muova questi individui e gruppi) e smettere di mescolare tutto assieme in analisi essenzialistiche che avrebbero già fatto ridere Saint-Simon e i socialisti inglesi di inizio Ottocento.