Uno dei temi centrali della battaglia politica è la crisi che di fatto da decenni soffre il sistema politico. E’ una crisi che, per trovarne la soluzione, va studiata in tutte le sue sfaccettature. La più evidente è quella che comunemente viene definita disaffezione verso la politica: ovvero il distacco tra la gente, il popolo e i sedicenti politici.
Le ragioni di questo distacco, ad un’analisi piuttosto superficiale, potrebbero essere attribuite sia a sistemi elettorali sempre meno partecipativi (vedi assenza delle preferenze), sia alla sostanziale incapacità e alla quasi totale corruttibilità della classe politica.
Queste motivazioni reali sono però collegate tra loro (la mancanza di selezione ha fatto sì che alla politica si dedicassero preferibilmente persone mediocri, controllabili e ricattabili) e sono, inoltre, frutto di una strategia precisa: infatti una classe politica di questo tipo è più facilmente controllabile e gestibile dall’invadente potere finanziario.
Pertanto una genia di sedicenti politici, indegni di occupare quel ruolo, crea disgusto e rigetto verso la politica stessa e quindi lascia enormi spazi liberi di manovra per gli schiavisti e gli affossatori della finanza internazionale. Questi soggetti, infatti, non sono politici perché vengono meno alla loro stessa funzione, in quanto dovrebbero mediare, con la forza del numero di cui sono espressione, lo strapotere delle consorterie finanziarie; invece, o perché incapaci, o perché corrotti e ricattabili sono completamente asserviti agli interessi anti-nazionali.
A questa ragione reale, concreta e manifesta ne va aggiunta una più profonda, ovvero la inadeguatezza del sistema partitocratico attuale (che tra l’altro è in aperto contrasto con quanto disposto dalla carta costituzionale) a garantire un’autentica partecipazione dei cittadini alla vita politica nazionale.
La politica non è attività per iniziati ma non è neanche semplice, però coinvolge in modo profondo il destino di tutte le famiglie. Questa è la ragione principale per cui tutti devono partecipare, ma con ragione e conoscenza di causa.
E’ quindi necessario iniziare a teorizzare forme più autentiche e meno condizionabili dai “media” per realizzare la propria partecipazione attiva e passiva alla gestione politica, recuperando quel senso profondo di civismo sociale di cui la politica dovrebbe essere pervasa.
Qua si pongono dei quesiti importanti: sono veramente necessari i partiti, così come sono concepiti oggi, allo svolgimento delle attività politiche? Si è più liberi consentendo a chiunque di fare il proprio partito o bisogna porre delle regole ferree? Queste regole devono essere uguali per tutti o, come avviene oggi in Italia, diverse? Il bipartitismo è una forma più semplice di partecipazione o è una limitazione alla partecipazione? Il partito unico ma aperto a tutti consente un vero pluralismo o ne è la negazione? I partiti politici devono avere una vita autonoma o devono essere solo un’aggregazione temporanea su un preciso programma elettorale? Esistono forme più concrete e consapevoli di partecipazione che non siano il voto una tantum verso soggetti sconosciuti ed imposti?
Potremmo continuare a porre quesiti ma proprio partecipando alla discussione e risolvendo questi problemi possiamo ricreare quella passione per la politica necessaria per affrontare le grandi questioni che la società di oggi ci pone.