Anni fa, quando ancora avevo il passo spedito e lo sguardo rivolto all’orizzonte, mi trovai a leggere La danza di Nietzsche di Béatrice Commengé, la quale forse perché donna e figlia del Mediterraneo – è nata ad Algeri nel 1949 – porta in sé l’autentico retaggio d’antiche melodie ed antiche movenze, la più adatta a proporci del filosofo tanta parte ove, sulle tracce del dio Dioniso, tratteggia l’esistenza quale passo lieve di danza.
Nella Carmen, ritroviamo ‘la sorte africana, l’allegria fatalista, la malinconia lasciva della danza moresca, la passione scintillante’, che consente a Nietzsche, ne Il caso Wagner, di annotare: ‘Ho udito ieri – lo credereste? – per la ventesima volta il capolavoro di Bizet’. Nella modestia che non mi fa difetto e nei ricordi ormai ferite e cicatrici che m’appartengono, scrissi: ‘La Carmen di Bizet trasfigura le brume e le nordiche saghe di Wagner.
Il solitario e visionario profeta del tempo a venire, del nostro tempo, insegna come il passo lieve di danza del dio Dioniso si traduca nel canto e nelle movenze sensuali della Habanera. Ti ricordi? Assistemmo sullo spazio sterrato e polveroso del campo gitano, poco fuori Barcellona, ad un flamenco.
Bevemmo vino tinto e lasciammo che si sciogliessero i lacci delle nostre convenzioni e ipocrisie. Avresti voluto farti leggere la mano, ma il volto grinzoso e aquilino ti fissò intensamente e scosse la testa. Non capimmo; non potevamo capire. Ballammo alla luce delle lampade oscillanti e circondate da efemerotteri e falene. Come la nostra esistenza che ci illudevamo essere immortale. E forse lo è stata e forse lo sarà. Quien sabe?’. Non originale interpretazione e, non credo, sia questo l’intento.
Lettura sì di tanta parte della vita del filosofo attraverso quel ripercorrere i motivi legati alla musica, alla danza e, ovviamente, al dio Dioniso. Di cui, certo, s’era parlato in opere più corpose e filosofico spessore e non poteva essere diversamente. La nascita della tragedia con la distinzione tra l’elemento apollineo e dionisiaco ha imposto i suoi canoni interpretativi, sia che li si condivida sia che li si rigetti. Se lo spessore può essere discusso ed è discutibile, la simpatia (nell’accezione originaria del termine) e certa leggerezza propositiva dell’autrice traspaiono e traspirano in ogni pagina.
Colui che danza subisce una metamorfosi, mette in discussione il principio di gravità. Non se ne fa cura, egli tende a librarsi dal suolo e. magari in un solo attimo d’assoluto, s’arresta in volo con tutto il proprio corpo teso. E ciò che si rende lieve rimanda al volo, alla sfida di Icaro.
Icaro non rappresenta soltanto la vanità punita tramite il calore del sole. Egli è la tentazione – ricorrente – diremmo oggi di ‘mutazione genetica’ dell’umano, di sé stessi. Un atto di compiuta e dirompente e annichilente libertà… Oggi mi hanno tarpato le ali e, in questa mala stagione di pandemia dello spirito, il peso greve di gravità ci viene imposto per decreto. Le scapole non rappresentano più il segno che fummo esseri in volo… eppure, vedendo a sera il sole tramontare, fulgore di rosso e oro fuoco, oltre i tetti e le cime degli alberi di Porta Metronia, sento l’animo ed il corpo fremere pronto a lanciarsi oltre l’estremo orizzonte. E questo mio lavacro di emozioni non può essere racchiuso fra sbarre e chiavistelli – come non lo fu ormai cinquanta anni sono trascorsi.
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