La forma dell’anarca nella visione di Ernst Jünger [3]

 

La forma dell’anarca nella visione di Ernst Jünger [3]

Ulteriore conseguenza dell’atteggiamento fondamentale dell’Anarca è quella di non prendere sul serio nulla; atteggiamento da non intendere, sottolinea lo scrittore tedesco, in senso nichilistico, ma da rapportare a quello della sentinella che sta in guardia da ogni possibile pericolo. Un paragone, ci sembra, non molto cogente in considerazione del fatto che una sentinella deve prendere piuttosto sul serio tutto, anche ciò che non si rivelerà poi un autentico pericolo.

Comunque, l’Anarca nella visione jüngeriana non ammette neppure il Ritorno, i cicli cosmici che consegnino al mondo un nuovo Paracleto o l’Imperatore incantato uscente dalla roccia. Insomma, la Tradizione non è cosa che riguardi l’Anarca che punta, piuttosto, all’annientamento del tempo, a un’eternità data una volta sola e per sempre. Si introduce così un tema fondamentale per la riflessione sulla figura dell’Anarca: il rapporto con il tempo; la libertà dell’Anarca è essenzialmente libertà dal tempo, dalla cui uscita solamente è possibile accedere alla trascendenza e all’eternità. Il rifiuto delle concezioni progressiste della storia, ma anche di quella propria alla Tradizione, condividono il medesimo senso nella prospettiva di Jünger.

In luogo della storia, Jünger ci offre il mito, inteso correttamente come dimensione fondante la storia e proprio per questo al di fuori della storia, al di là del tempo. la figure che lo scrittore tedesco tratteggia nella sua personale fenomenologia – dal Guerriero all’Anarca, passando per l’Operaio e il Ribelle – sono immutabili: determinano il movimento storico e non ne sono determinate. Diventa quindi un’operazione inutile, oltre che impossibile, cercare di incarnare temporalmente queste figure, le quali sfuggono ad ogni determinazione storico-temporale precisa. Storicamente si danno le incarnazioni che l’uomo realizza di queste figure e, nel momento in cui più si approssima loro, tipizzandosi, esce dalla propria individualità, cioè sfugge al tempo per appartenere alla metafisica. Questo desiderio di trascendenza non si soddisfa semplicisticamente con il ricorso alle religioni.

La religione, dice Jünger, è rifiutata dall’Anarca: «L’anarca non afferma: Dio è morto, ma Dio non è affar mio»; l’Anarca non vuole saperne di divinità «e delle dicerie che le concernono». Tuttavia, Jünger riconosce che la preghiera obbedisce a un istinto innato, assai più forte delle pulsioni fisiologiche del mangiare e del bere, perché è testimonianza di un di più della vita peritura. La religione è in grado di condurre oltre le squallide quinte con cui il sapere deforma l’universo. Qualcosa di divino vi è indubbiamente nell’uomo che altrimenti non potrebbe nemmeno avere alcuna nozione degli dei. Solo, l’Anarca non riconosce un Dio-Persona, pregiudizio paternalistico, ma un Uno inafferrabile, capace di plasmare persone, ma non di essere lui stesso persona.

 

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