La forma dell’anarca nella visione di Ernst Jünger [5]

 

La forma dell’anarca nella visione di Ernst Jünger [5]

Nel disprezzo della tecnica e del potere, l’Anarca, nel romanzo di Jünger, si contrappone alla setta dei Mauretani.

Il Mauretano è il mago che, nella favola di Aladino, tenta in tutti i modi di riprendersi la lampada magica; i Mauretani sono quindi i rappresentanti del potere tecnocratico e non a caso lo scrittore tedesco parla di un suo “periodo mauretano”, che corrisponde a quello dell’impegno e dell’esaltazione della tecnica come apertura alla figura dell’Operaio. Non è inesatto allora vedere la figura dell’Anarca anche come un riflesso della vita stessa di Jünger, il quale, già nella Seconda guerra mondiale a Parigi, presso lo Stato maggiore tedesco, quando adempie a funzioni secondarie, come la censura postale, scrive La pace, nella quale propone una soluzione negoziata del conflitto che circolava come ipotesi nelle sfere militari ostili a Hitler; non a caso Rommel organizzò pubbliche letture dello scritto jüngeriano presso il suo Stato Maggiore. Da questa esperienza trae alimento, ci sembra, la figura dell’Anarca che serve il potere per esserne interiormente lontano; lontano da qualunque potere, giacché «a ben guardare, non esistono ormai che tiranni».

I limiti evidenziati dell’ultima figura jüngeriana non escludono che essa possa comunque insegnare qualcosa nella nostra contemporaneità, specie laddove ci invita a non assumere pose ribellistiche che ci rendono solo più individuabili e disinnescabili dal potere; e di conseguenza a coltivare la libertà precipuamente in noi stessi. Ci insegna a combattere la nostra guerra anche quando sembriamo marciare allineati con gli altri; ci insegna che combattere il mondo moderno significa in qualche modo legittimarlo e quindi la lotta deve farsi più scaltrita, la resistenza deve diventare più interiore che esteriore e che in definitiva si tratta più di non appartenere che di combattere.

E forse per questo che la figura dell’Anarca ci appare più moderna di quella del Ribelle: perché quest’ultimo era un bandito dalla società, un esiliato, laddove l’Anarca ha bandito la società da se stesso. Ma nel rigetto del mondo, l’Anarca pone la propria libertà nell’annullamento di tutto ciò che appartiene al mondo e quindi nel nichilismo assoluto.

Finché l’Anarca sussiste nel mondo ne condivide il destino: ovvero, la nientificazione.

Per questo la conclusione del cammino dell’Anarca non può che essere la morte.

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