La guerra di Ernst Jünger contro il Nichilismo [4]
Il nichilismo, continua Jünger nella sua disamina, non è nemmeno una malattia, tutt’altro: esso richiede una grande dose di salute fisica e psichica.
Osservare un consorzio nichilistico in azione – osserva lo scrittore tedesco – e non c’è bisogno di pensare a pericolosi dinamitardi o a squadre della morte quanto piuttosto a un’assemblea di tecnici, di funzionari economici e di medici, mostrerà tutto tranne che una particolare cagionevolezza. Anche la malattia, infatti, ostacola la produttività e un corpo, come la macchina, deve essere perfettamente funzionante; cosicché lo sport, considerato in maniera produttivistica e quindi teso a stabilire primati, si rivela sfera privilegiata per mostrare il rapporto esistente tra salute e nichilismo.
Un’analisi che si rivela esatta proprio nella nostra epoca di nichilismo trionfante e in ogni modo propagandato dai poteri forti – sebbene camuffato dietro parole come amore, accoglienza, umanità – dove il salutismo è diventato una religione fanatica e intollerante nelle diverse forme che ha assunto: dal veganesimo al fastidio verso il fumo, dalla dieta alla corsa domenicale nel parco. Neppure il nichilismo si associa al male; anzi esso può avere e molto spesso ha spirito filantropico, come dimostrano molte Ong.
Il nichilismo non è al di là del bene e del male, ma è indifferentemente buono o malvagio; il nichilista, non è un delinquente nel senso tradizionale del termine: per esserlo occorrerebbe un ordine ancora valido che invece non esiste più. Il movente del gesto nichilistico non risiede nel male, ma nell’indifferenza: l’azione nichilistica è automatica, insensata, mentre l’atto malvagio non è di per sé privo di senso. Sgomberato il campo dagli equivoci, Jünger può passare a un tentativo di tracciare una fenomenologia del nichilismo, che se non ne costituisce una definizione pure consente di stanarlo dai suoi nascondigli, ormai neanche più tanto occulti.
A caratterizzare in primo luogo il nichilismo è la condizione dello svanimento, in cui l’aspetto dominante è il senso di riduzione: sia spaziale – il globalismo – sia spirituale – tutto è eguale e tutto è lecito – sia estetico, con le forme stereotipate di coloro che vengono considerati modelli di bellezza. Una vittoria del nichilismo è testimoniata proprio dall’assurda felicità dell’uomo contemporaneo per la riduzione degli spazi e degli orizzonti, per la riduzione di usi e costumi in un’indifferenziata poltiglia omologata nel consumo.